Sul salario minimo orario a nove euro il governo e la sua maggioranza hanno incassato ieri una vittoria tattica: il rinvio della discussione alla Commissione lavoro con 21 voti di scarto alla Camera. Una mossa parlamentare pensata per svuotare la proposta di legge formulata da quasi tutte le opposizioni parlamentari, tranne Italia Viva, e per cambiargli il senso politico.

NON È ANCORA CHIARO in quale direzione andrà la proposta della maggioranza, se mai ci sarà e sarà votata. Stando al Cnel di Renato Brunetta, dal quale il governo ha ottenuto una contestata e parziale «consulenza», la nuova proposta scolpirà nel marmo l’idea per cui il salario minimo non è uno strumento per combattere «il lavoro povero». E che bisogna tornare alla contrattazione, come se questa non fosse parte dello stesso problema che trova la sua origine nei rapporti di forza. Quelli che penalizzano i lavoratori precari, e i sindacati che faticano a rappresentarli. E non dall’esistenza di un minimo tariffario fissato per legge e dal suo astratto rapporto con il contratto. Se non c’è un contro-potere, oltre che le istituzioni adeguate, un salario minimo, anche se ci fosse, servirebbe a poco.

IL RISCHIO, al momento, è che simili rilevanti questioni sian annacquate dall’evidente tattica dilatoria e strumentale di un governo che si propone addirittura di intraprendere «azioni di sistema, il miglioramento del tessuto produttivo e del mondo del lavoro in generale» ha detto ieri la ministra del lavoro Marina Calderone. Vasti programmi. Di solito finiscono in burla in Italia. Un po’ come la «complessità» evocata dagli «esperti» che hanno steso il «parere» di maggioranza del Cnel. La domanda, in tal caso, è: per dare corpo «al mondo del lavoro» non si potrebbe iniziare da un salario minimo connesso alla contrattazione e a una legge sulla rappresentanza sindacale? Si inizia invece da questioni generali e si perde di vista che la forza lavoro affronta problemi materiali e universali.

DAL PUNTO DI VISTA delle opposizioni, la movimentata giornata politica di ieri non è stata però negativa. Hanno strappato una carta da giocare contro un governo che non intende sostenere una politica salariale strutturale, oltre che politiche sociali universali (nemmeno le opposizioni parlano più di «reddito di cittadinanza»). Hanno denunciato il «cinismo» di un’operazione iniziata ad agosto, quando sono state ricevute da Meloni a palazzo Chigi. In più la volontà di continuare la battaglia per il salario minimo, può entrare in risonanza con le rivendicazioni di Cgil e Uil che si avviano allo sciopero generale contro la legge di bilancio, l’inconsistenza dei bonus anti-inflazione e l’effimero taglio del cuneo fiscale con il quale il governo distribuirà alcune briciole. Hanno guadagnato uno strumento di mobilitazione attraverso una raccolta firme vicina a quota mezzo milione.

SAREBBE STATA preferibile una campagna per una proposta di legge di iniziativa popolare, così come ha fatto Unione Popolare che chiede un salario minimo indicizzato a 10 euro e presenta alcuni aspetti migliorativi rispetto a quella delle opposizioni parlamentari. Iniziativa penalizzata dalla polarizzazione mediatica che si è creata con il governo. Questi elementi possono inoltre tornare utili se, e quando, la maggioranza partorirà la sua proposta.

LO SCONTRO parlamentare è stato duro nelle parole e negli atti. Carlo Calenda (Azione) ha parlato di «errore drammatico di Meloni». Giuseppe Conte (M5S) di un «delitto annunciato», di «pagina triste», «non hanno neppure il coraggio di metterci la faccia». Elly Schlein (Pd): «Scelta pavida e cinica, non hanno avuto il coraggio di votare un emendamento soppressivo e votano un altro rinvio».« Hanno dato uno schiaffo in faccia a milioni di lavoratori» per Nicola Fratoianni (Avs). «Nel Paese hanno perso» ha detto Riccardo Magi (+Europa). La polemica è continuata dopo il voto. Le opposizioni hanno disertato la commissione lavoro denunciando il modo in cui si sta istruendo il nuovo iter.