Addio Marco Maria Gazzano, colto conoscitore delle arti elettroniche
Marco Maria Gazzano
Visioni

Addio Marco Maria Gazzano, colto conoscitore delle arti elettroniche

Ricordo Addio al docente, curatore, amante del video con un approccio interdisciplinare
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 9 giugno 2022

Ci ha lasciato martedì all’alba, dopo una malattia di mesi, Marco Maria Gazzano. Aveva 68 anni, era docente di cinema e arti elettroniche a Roma Tre; è stato uno dei più importanti studiosi delle arti elettroniche, pioniere nella loro valorizzazione, organizzatore di mostre che hanno contribuito a far conoscere artisti internazionali.

Per decenni ha coltivato con pacata passione e scrupolo critico i territori di confine e le pratiche artistiche eretiche, guardando all’evoluzione di un paesaggio spesso lasciato in ombra, illuminandone le radici, ricostruendone con pazienza la storia.
Si era formato al cinema con Guido Aristarco, aveva insegnato a Torino e a Urbino, aveva diretto per 12 anni il Festival di videoarte di Locarno, preziosa occasione di visioni e di incontri. Da subito, il suo apporto agli studi cinematografici era stato quello di un’apertura ai dialoghi con altre discipline; anzi, Gazzano era stato fra quegli studiosi che, anche fra incomprensioni e difficoltà, aveva cercato di situare il «video» nell’alveo – e anche nell’ambito accademico – del cinema, quando ancora era oggetto di attenzioni più nell’ambito mass-mediologico, o in quello dell’arte contemporanea o performativa.

Era colto, Marco, in letture, poesia, musiche, estetiche: impermeabile alle mode, immune alle frenesie tecnologiche, anche come docente illuminava le radici del nuovo, con riferimenti raffinati e sapienti alle arti e al pensiero, attuali e del passato, e in particolare alle amate avanguardie storiche e al pensiero utopico.

Era garbato, mite, riservato, attraversato a volte da lampi di malinconica ironia.

Aveva capito, anche, che per sostenere un certo tipo di opere occorreva una «lunga marcia attraverso le istituzioni»: da qui un approccio che lo aveva portato a realizzare programmi per RaiSat, a dirigere il canale satellitare Ars TV network, a rappresentare l’Italia nel Programma europeo Media 1, e che lo induceva a invitare con ammirevole tenacia, in molti suoi convegni e incontri di studio, rappresentanti istituzionali.

CONVINTO della necessità di un sostegno fattivo da parte di chi gestisce decisioni e budget, e fiducioso nella forza di un pensiero artistico lucidamente visionario. Intanto coltivava ricerche e opere, con le mostre e con gli scritti: da Gene Youngblood a Gianni Toti a Robert Cahen, da Mario Sasso a Ida Gerosa, da Steina e Woody Vasulka a Giacomo Verde, Theo Eshetu, Lino Strangis, Marianne Strapatsakis e tanti altri.

Impossibile dire qui di quanti lo piangono, anche all’estero, dagli «Instants Vidéo» a Marsiglia, alla Dundee University in Scozia, al Festival Internacional de la Imagen di Manizales in Colombia (qui e a Bogotà nel 2015 e 16 aveva collaborato a una rassegna dedicata a trent’anni di videoarte italiana, curata dalla moglie, l’artista Adriana Amodei).

Qualche anno fa aveva raccolto in un volumone (Kinema. Il cinema sulle tracce del cinema) i suoi più diversi interventi: dai brevi testi propositivi o polemici a quelli di taglio storico, teorico e critico, in un vivace e diversificato diario di sguardi e pensieri; ed erano usciti ultimamente anche altri volumi, in particolare su suono e musica nella videoarte (Comporre audio-visioni) e sulle Ultraimmagini, il cinema e la metamorfosi delle arti (Exòrma, Roma). Progettava un libro su Nam June Paik.

ORA LO RICORDO come la prima volta che l’ho visto, a casa di Guido Aristarco a Roma, verso la fine degli anni Ottanta, curvo sulla macchina da scrivere a lavorare a «Cinema Nuovo». Agli inizi di un cammino originale, accidentato e appassionante che ha percorso con generosità e con gentilezza d’altri tempi, e che si è interrotto troppo presto.

Il funerale si svolge stamani alle 11,15 nella chiesa di Santa Maria del Rosario, Via degli Scipioni.

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