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Addio Luis Bacalov, una vita tra canzone e cinema

Addio Luis Bacalov, una vita tra canzone e cinemaLuis Bacalov – foto La Presse

Lutti Morto a 84 anni il compositore, arrangiatore e direttore d'orchestra premio Oscar per «Il postino». Protagonista nei '60 nella grande stagione Rca e poi autore di oltre 160 musiche da film. Dal western a Fellini

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 16 novembre 2017

Basterebbero le prime note di Django, il suo primo western, o i titoli di coda incredibili de Il grande duello o una serie di memorabili canzoni scritte (e arrangiate) con Sergio Endrigo, da Io che amo solo te a Era d’estate, da Canzone per teLontano dagli occhi, a definire una volta per sempre la grandezza di Luis Bacalov, pianista e compositore, scomparso ieri a 84 anni. Molto più del discusso Oscar che ottenne, giustamente, per Il postino di Massimo Troisi e Michael Radford. Bacalov, argentino di origini bulgare, nato a Buenos Aires nel 1933 e a 20 trapiantato prima in Colombia, poi in Spagna, poi a Parigi e dal 1959, in Italia, autore di oltre 160 musiche da film, di una marea di canzoni per la RCA.

Pianista di Claudio Villa, amico fraterno di Ennio Morricone e Sergio Bardotti, solo loro sapevano i misteri e le ricette dei successi della storica etichetta, non ha però scritto solo la colonna sonora e la canzone di Django, resa così popolare dal semi-remake di Quentin Tarantino. Ha scritto le musiche dei film più importanti di Fernando Di Leo, da Milano calibro 9 a Il boss, da Il poliziotto è marcio a I padroni della città, per Damiano Damiano ha composto Quien sabe?, capolavoro del genere spaghetti rivoluzionario, è stato nominato all’Oscar per la colonna sonora de Il vangelo Secondo Matteo di Pasolini.

Diviso, esattamente come Morricone, tra musica leggera, arrangiamenti per canzoni, e musica da film, Bacalov arriva nel nostro cinema prima con un bel Franco e Ciccio movie, I due della legione, di Lucio Fulci, e poi con Il Vangelo Secondo Matteo, mischiando da subito il sacro e il profano. Nei primi anni ’60 lavora oltre che con Endrigo, anche con Nico Fidenco, Rita Pavone, lasciando poco spazio al cinema. È notevole il suo unico eurospy, OSS 77 operazione Fior di Loto di Bruno Paolinello, ancor di più l’episodio di Luciano Salce in Oggi, domani, dopodomani, «La moglie bionda». Ma il vero successo popolare arriva nel 1966 col violentissimo Django di Sergio Corbucci, presto seguito da film totalmente diversi, dalla commedia all’italiana, Una questione d’onore di Luigi Zampa, al drammatico La strega in amore di Damiano Damiani allo spaghetti comico, Sugar Colt di Franco Giraldi. Lo apprezzammo molto nell’italo-brasiliano Una rosa per tutti di Franco Rossi, dove si azzarda nella bossa nova, o nel mafia movie A ciascuno il suo o nel musical di Duccio Tessari Per amore… per magia… dove se la vede con cantanti come Gianni Morandi e Mina.

Nella seconda metà dei ’60 scrive un po’ di tutto, film stravaganti come Lo scatenato di Franco Indovina, thriller come La vittima designata di Maurizio Lucidi, pochi western, ma è da Lo chiamavano King di Sante Maria Romitelli che Tarantino recupera il personaggio del Doc di Christoph Waltz in Django Unchained. Molto legato a registi come Damiani e Giraldi si lega poi anche a Fernando Di Leo, a cominciare dal suo capolavoro, Milano calibro 9, mentre con Il grande duello di Giancarlo Santi si celebrerà la fine dello spaghetti western. Tutti film che solo grazie alle riscoperte tarantiniane avranno nuova vita e porteranno parecchie royalties a Bacalov, oltre che a Morricone o a Franco Micalizzi.

Fellini, orfano di Nino Rota, lo vuole in La città delle donne nel 1980, ma la sua collaborazione si limiterà a questo solo titolo. Grazie a Il postino e all’Oscar, vince un po’ tutto, dal David al Bafta, Bacalov torna di moda e diventa un nome ancora caldo per il cinema. Divertente, ironico, pieno di vita, ha avuto il giusto successo che si meritava.

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