Lando, anzi Gerlando Buzzanca come recita l’anagrafe, se n’è andato all’età di 87 anni, in una clinica romana dove era ricoverato per riabilitazione. Da tempo di lui si erano occupate solo le cronache. Soprattutto per la controversia che ha visto su posizioni conflittuali la sua ultima compagna Francesca Della Valle e i figli Massimiliano e Marco che tempo fa si erano opposti all’eventuale matrimonio affermando che il padre non era più in grado di intendere e di volere. Così tra liti e visioni contrapposte l’ultimo periodo della vita di Lando è stato triste. Aggravato ancora di più dalla malattia, dal ricovero in Rsa, da una caduta che lo aveva portato in ospedale sino al tentativo di riabilitazione, infine il decesso.
Del resto la figura di Buzzanca è sempre stata divisiva. Per sua stessa ammissione le sue simpatie politiche erano orientate a destra, fatto che, sempre secondo lui, gli era costato una sorta di ostracismo da parte della cultura di sinistra, dominante nella sfera cinematografica. Anche rispetto alle sue interpretazioni c’è stata divisione. In larga misura veniva considerato dalla critica un attore di serie b, protagonista di commedie con il sesso come chiodo fisso, ma i suoi personaggi sono stati molto amati dal grande pubblico, grazie anche al successo televisivo che gli era arriso da subito accanto a Delia Scala in Signore e signora del 1970, titolo che è un esplicito riferimento al film di Pietro Germi con cui Buzzanca aveva esordito in Divorzio all’italiana e Sedotta e abbandonata, due pietre miliari della commedia italiana made in Sicily.

DEL RESTO lì, a Palermo nel 1935 era nato Lando, respirando subito cinema visto che il padre era proiezionista, diventato poi attore come lo zio. Infatti a soli 17 anni Lando si trasferisce a Roma per seguire i corsi di recitazione dell’Accademia Sharoff, prima in Italia nel seguire il metodo Stanislavskij. Da lì sono passati tra gli altri anche Carmelo Bene e Franca Valeri. Vita grama quella di chi vuole fare l’attore, tocca adattarsi ai lavori occasionali che definire precari è già eufemismo. Fisico prestante nell’Italia anni ’50, era alto oltre il metro e ottanta, Lando viene finalmente scritturato per fare lo schiavo di una galea in Ben Hur. Poca roba, ma è un inizio perché di lì a poco Germi lo recluta per i suoi due film. La sua però non è una carriera in grado di portarlo subito ai vertici del successo, seppure partecipi a film di Elio Petri, Antonio Pietrangeli, Dino Risi, Vittorio DeSica, Alberto Lattuada, Luigi Zampa. Nei favolosi anni ’60, momento d’oro per il cinema italiano, Lando lavora, molto, comincia a delinearsi lo stereotipo del macho latino, costantemente in cerca di prede, alternato a parodie dei generi di successo. La consacrazione gli viene dal travolgente successo televisivo con Delia Scala, «mi vien che ridere» il suo tormentone, confermata anche al cinema con Il merlo maschio di Pasquale Festa Campanile.
Poi è stato un lento progressivo declino, con molti film e pochi sussulti al cinema sino al trionfo in televisione con la miniserie Mio figlio del 2005, dove ha interpretato un commissario di polizia con un figlio omosessuale che lo costringe a rivedere i suoi pregiudizi. Miniserie che ha avuto anche un seguito qualche anno dopo. Inutile dire che alcuni esponenti conservatori non hanno apprezzato. Eppure quella del personaggio supermacho e sciupafemmine interpretato da Nando è davvero una costruzione a tavolino neppure così lineare. Besti pensare che l’ultimo suo film è stato Chi salverà le rose di Cesare Furesi del 2017, dove interpreta un anziano omosessuale male in arnese che convive con Carlo Delle Piane che lo accudisce amorevolmente (e che riprende il personaggio di Regalo di Natale). Purtroppo per entrambi è stata l’ultima apparizione su grande schermo. Ora anche Lando ha raggiunto Carlo così che liberi dagli acciacchi e dagli affanni potranno combinare altre interpretazioni capaci di emozionarci.