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Addio «Lampedusa in Berlin», tendopoli della contraddizione

Addio «Lampedusa in Berlin», tendopoli della contraddizioneOranienplatz, Lampedusa village in Berlin

Germania Per mesi il presidio di lotta dei migranti, poi la guerra tra poveri

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 14 maggio 2014

Oranienplatz, due mezzi della polizia stazionano a bordo strada. Di fronte, una dozzina di immigrati africani, gli irriducibili di ciò che resta di «Lampedusa in Berlin». Materassini, sacchi a pelo, cartoni per terra e sotto gli alberi testimoniano la volontà di non abbandonare la trincea di Kreuzberg. Hanno puntato i piedi: sciopero della fame, una piattaforma «politica», trattativa ad oltranza fin dentro le stanze del ministero dell’Interno. Alle spalle i campi di concentramento equivalenti ai Cie introdotti dalla Turco-Napolitano e un futuro senza prospettiva né diritti. Una sola certezza: non arrendersi al gioco del nascondino delle autorità tedesche.

Dall’altra parte della piazza, il simulacro della tendopoli che per mesi ha ospitato centinaia di rifugiati e «rianimato» la solidarietà del quartiere turco. Avevano iniziato lo scorso autunno a piantare picchetti e ad assemblare bancali, mentre la gente portava cibo, vestiti, ombrelli, libri. Un autentico villaggio africano a 5 km dalla Cancelleria di Angela Merkel, Frontex nella capitale dell’Europa, un’emergenza ostica da governare perfino dal punto di vista rosso-verde. Erano i naufraghi di Lampedusa, i fuggitivi dai campi profughi del sud della Germania, migranti senza permesso di soggiorno. Tutti uniti contro il nuovo «muro» di Berlino, alla ricerca di una soluzione dignitosa. Invece, è scattata la trappola del divide et impera con l’offerta di un vero alloggio in cambio dell’autodemolizione dell’isola di Oranienplatz. Migranti contro migranti, con frau Napuli Langa arrampicata sulla cima di un platano pur di rimanere ancorata all’ultima zattera comune, tra chi si faceva strada senza tanti complimenti per «incassare» il tetto promesso. Una brutta storia, una cicatrice insanabile, la guerra tra disperati. Ha lasciato il segno anche fra chi (gruppi antirazzisti, volontari del teatro Buhnenwatch, associazioni di quartiere) per mesi ha sostenuto la protesta. Adesso l’impatto visivo della tendopoli è svanito. La massa degli immigrati è stata diluita nella Berlino per ausländer. A presidiare la piazza resta solo il pugno di irriducibili.

Eppure qualche settimana prima lo scenario era diametralmente opposto con Karim, 30 anni, rifugiato del Mali, che riassumeva così le ragioni della lotta. «Siamo arrivati dalla Sicilia nel novembre 2012 e abbiamo tutti documenti rilasciati dalle autorità italiane. Cosa vogliamo? La possibilità di cercare un lavoro e costruirci un futuro. E che finiscano le deportazioni». Non è una metafora né un problema di traduzione. Parla proprio di «deportazione, una parola-tabù nella coscienza collettiva tedesca. Del resto il 5 marzo sul sito malijet.com Abdoulaye Ouattara scolpiva nome e cognome degli specialisti dell’espulsione; a cominciare dall’ambasciatrice del Mali a Berlino Ba Hawa Keita «complice nella deportazione dei propri cittadini».

Funzionava così: «L’ufficio migranti tedesco offre 800 euro a chi lascia la Germania, ma é una compensazione ridicola per chi ha sacrificato tutto». Alla base, l’inquietante patto di scambio così simile a quello di Berlusconi con Gheddafi o alla cooperazione sussidiaria in Africa. «La Germania versa 100 milioni di euro al Mali, in cambio si aspetta che regoli il flusso dei propri migranti». I risultati dell’accordo sono riassunti da una giovane maliana. «Quando ho chiamato la mia ambasciata per avere un numero di telefono mi hanno risposto: «sister sarebbe meglio che tu lasciassi l’Europa, se torni a casa ti paghiamo». Un altro africano denuncia: «Mi hanno chiesto di firmare le carte per il rimpatrio, mi sono rifiutato: “Bene, allora lascia la Germania” ha tagliato corto il funzionario».

Storie di normale amministrazione quando la burocrazia e l’Ue vanno in corto circuito. Così la tendopoli delle contraddizioni: rifugiati, ma senza ottenere un vero asilo politico; regolarmente certificati a Lampedusa, di fatto carta straccia in Germania; «residenti» nel centro immigrati eppure impossibilitati a ricongiungersi con la famiglia già diventata tedesca. In mezzo, i berlinesi che incollano sui vagoni della metro gli adesivi «Refugees welcome». In centinaia il 16 marzo erano a Oranienplatz per fermare il rally razzista di Pro Deutschland, partito di estrema destra che pretendeva la distruzione di Lampedusa. La piazza è stata circondata dalla polizia, ma non c’è stato alcuno scontro. Gli xenofobi erano solo in tre, compreso quello con il megafono.

Oggi, senza più tende e baracche, per le autorità il problema si riduce all’inflessibile rispetto della destinazione d’uso del suolo. Un’area verde deve rimanere tale, le norme anticendio bruciano i diritti umani, il regolamento comunale non fa sconti né eccezioni. E scatta l’arresto anche per chi piscia sui cespugli, come Patras Bwansi.

 

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