Visioni

Addio Jon Hendricks, principe ironico del vocalese

Addio Jon Hendricks, principe ironico del vocaleseJon Hendricks e sotto con Dave Lambert e Annie Ross nel trio celebre nei '50

Stardust Si è spenta a 96 anni una delle più importanti e innovative voci della storia del jazz. Dalla capacità di scrittura fuori dal comune, insieme a Lambert e Ross fondò un trio d’avanguardia

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 24 novembre 2017

Poesia, finezza, ironia, estro, creatività, longevità artistica, carisma. Pensare a Jon Hendricks suscita una catena di «qualità» musicali, umane e culturali che non scivolano nell’acritica agiografia. Su tali «qualità» si può, ora, ragionare dato che uno dei padri del «vocalese» ed uno dei più significativi jazz-singer dell’ultimo sessantennio si è spento a 96 anni a Manhattan. Gli ultimi decenni di vita di quest’artista non sono stati affatto crepuscolari. Nel 1997 era una delle tre voci narranti dell’oratorio jazz di Wynton Marsalis Blood on the Fields; Hendricks incarnava la voce dello schiavo african-american che si era adattato a vivere nel Nuovo Mondo, conservando intatti spirito «resistenziale» ed arguzia. Nel XXI secolo ha continuato ad insegnare alla University of Toledo (con il coro vocalese Vocalstra) e ad esibirsi, di tanto in tanto. Il trio con Kurt Elling e Al Jarreau (luglio 2011, North Sea Jazz Festival, Rotterdam) lo mostra provato nel fisico ma non in quanto a stile, classe, interplay, swing, autoironia. Molti hanno attinto dalla sua lezione, dai Manhattan Transfer a Jarreau e Bobby McFerrin, e tutti lo hanno apertamente e affettuosamente riconosciuto.

Nella sua vita ha sempre lottato per affermarsi come cantante e paroliere. Era il nono dei quindici figli del reverendo A.B. Hendricks; cresciuto negli spirituals, da adolescente iniziò a cantare in radio e nei club di Toledo e tra i suoi fan il pianista Art Tatum. Fu soldato in Europa durante la II guerra mondiale ed al ritorno in patria praticò il canto scat e venne incoraggiato da Charlie Parker. Come molti giovani jazzisti, Jon Hendricks si spostò a New York (1952) e centrò il suo primo obiettivo l’anno dopo come autore del testo di una canzone resa celebre da Louis Jordan (I Want You To Be My Baby). Hendricks era molto interessato all’innovativa tecnica/poetica del vocalese, basata sulla creazione di nuovi versi che si modellavano su vertiginosi assoli strumentali. Presto si alleò con King Pleasure e nacque l’album Don’t Be Scared (1954), rifacimento vocale di un disco scandinavo di Stan Getz. Tre anni dopo sarà Dave Lambert il partner per una registrazione canora di Four Brothers, capolavoro di Jimmy Giuffre sigla dell’orchestra di Woody Herman trasformato in una versione per 4 voci.

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Una lunga elaborazione e l’uso avanguardistico della sovraincisione portarono Lambert ed Hendricks (cui si aggiunse la malìa canora di Annie Ross) alla realizzazione di Sing a Song Of Basie (1958) in cui si riproduceva per sole voci il sound dell’orchestra originaria di Kansas City. L’enorme successo ottenuto portò ad un nuovo Lp direttamente con l’orchestra di Count Basie inciso nello stesso anno (Sing Along With Basie) e a varare il trio Lambert, Hendricks & Ross. Formazione insolita, era caratterizzata (scrive il critico Luciano Federighi) dalla «singolarità, diversità e varietà delle tre voci (mai, però conflittualità o disarmonia), quel loro contrasto che non è soltanto timbrico ma in parte stilistico»». Formula, che si rivelò comunque di grande presa, con dischi vendutissimi (The Swingers, 1959) e collaborazioni illustri, da T.Monk a Wes Montgomery. Hendricks aveva un’inventiva fuori dal comune ed oltre ad essere il «poet laureate of jazz» (secondo il critico Leonard Feather) era in grado di improvvisare testi in estemporanea, tecnica ripresa da Sheila Jordan e Kurt Elling. Le sue lyrics di In Walked Bud sono davvero formidabili: un ritratto d’artista e del suo ambiente.

Nel 1965 Jon Hendricks abbandonò il trio e fu a fianco di Duke Ellington nel Primo Concerto Sacro nonché autore e narratore – nel 1960 per il Monterey Jazz Festival – dell’opera teatral-musicale The Evolution of The Blues. Il cantante nel 1980 ridiede vita al trio, Jon Hendricks & Company con la moglie Judith e la figlia Michelle e così via, in un’instancabile attività concertistica e didattica. Ha scritto la vocalist e studiosa Giuppi Paone che: «nella sua produzione artistica troviamo la piena consapevolezza della propria abilità versificatoria e del valore dei concetti espressi unitamente alla propria capacità dissertatoria», perché in Jon Hendricks il vocalese ha saputo spesso farsi sermone, una bandiera afro-american di orgoglio, creatività, ironia e consapevolezza.

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