Hervé Le Roux è stato programmatore e critico ai Cahiers du cinéma. È l’autore di tre lungometraggi . Il 26 luglio scorso è stato ritrovato morto nella sua casa di Poitier. Aveva 59 anni. La notizia è stata data dal direttore della Cinémathèque Française, Frédéric Bonnaud, che ha annunciato così la scomparsa: «quelli che si ricordano di lui, dei suoi articoli nei Cahiers, delle notti passate con lui al festival di Belfort o altrove e, ovviamente, dei suoi film, piangono un amico e un cineasta singolare, che non girava da quindici anni.» È un ricordo affettuoso e privo di retorica. Resta una domanda: cosa devono pensare quelli che non lo hanno conosciuto né personalmente né attraverso i suoi films?

Il film più importante di Hervé Le Roux si chiama La Reprise (in dvd, presso le Editions Montparnasse), è un documentario di tre ore, girato nel 1993. Il punto di partenza è un altro documentario: La Reprise Du Travail Aux Usines Wonder. Si tratta di poche sequenze girate alla fine del «Maggio». Si vede un sindacalista della Cgt che cerca di convincere gli operai a riprendere il lavoro. Lo sciopero è stato una vittoria, afferma. Non si è ottenuto tutto, si è avuto molto. È ora di riprendere il lavoro. La maggioranza è pronta a rientrare in fabbrica. Ma una voce si leva. È una donna. Si rifiuta di abbandonare la lotta. Urla disperata: «quello è un buco! Quello è un buco!» Sono sole poche inquadrature, ma la loro forza è immensa. In quel contrasto, c’è tutto un mondo: una spaccatura tra miglioristi e rivoluzionari antica quanto la sinistra.

Le immagini, come dicevamo, non sono girate da Hervé Le Roux, che all’epoca è un bambino: il suo film le «riprende» (da cui il titolo, «la ripresa»). Come un orfano in cerca dei genitori, Le Roux ritrova i protagonisti di quella giornata: gli studenti dell’Idhec (scuola di cinema) che le hanno filmate; il sindacalista della CGT; gli operai della fabbrica di pile Wonder… Che cosa sono diventati? Cosa si ricordano di quella giornata? La domanda principale è: chi è quella donna che non vuole migliorare la fabbrica ma distruggerla? Ponendola, Le Roux va a caccia non solo di una persona ma di un’idea, alla quale, piano piano, testimonianza dopo testimonianza, si cerca di dare una dimensione concreta, togliendoladall’astrattezza del nome con la quale solitamente la si designa: la rivoluzione. Chi era lì, in quel mese, in quel giorno, alle porte di quella fabbrica, l’ha vista. Allora, com’era?

Alla fine del film, Le Roux si dispiace di non esser riuscito a ritrovare questa madre ideale. E, al tempo stesso, viene da dire che non poteva essere altrimenti. Non solo per una ragione storica o politica. Neppure per una ragione poetica: uno «spirito» non può che apparire. Una ragione squisitamente cinematografica giustifica che la ricerca termini con un «buco» nel puzzle. Non a caso il 68 non ha prodotto film. Jacques Rivette diceva che La Reprise du travail… era l’unico film.

E questo proprio  perché non è un film ma una serie di sequenze improvvisate. Strutturalmente, il cinema dell’epoca non era adatto ad accompagnare la velocità di un movimento come il 1968. E il cinema che il 68 ha influenzato tenterà soltanto di adattarsi alla dinamica di un evento politico, ritrovando un’avanguardia in sé interessante, ma inevitabilmente intempestiva e più vicina al teatro che al cinema. La bellezza della Reprise di Le Roux sta nel cogliere con semplicità e efficacia queste due dimensioni, la politica e la cinematografica, nella loro rispettiva discordanza – che solo un evento rivoluzionario, mette brevemente a diapason. Discordanza che il cinema che invece pretende di essere politico per lo più ignora. In questo, il valore e il contributo di Hervé Le Roux è grande e non è mai troppo tardi per scoprirne l’ampiezza.