Nell’estate del 1979 ho conosciuto Ernesto Assante, una delle menti migliori della mia generazione, il versatile divulgatore d’intelligenza vivace e curiosità onnivora, il bravissimo giornalista che ha inventato un genere, la critica musicale italiana, scomparso lunedì a 66 anni, per una malattia fulminante.

NELL’ESTATE del 1979 Assante, nato da una famiglia napoletana trasferitasi poi a Roma, era un grande appassionato di musica, poco più che ventenne, che frequentava regolarmente i concerti al Mattatoio. Io l’incrociai a sentire Max Roach e Steel Pulse. Mi portò al suo giornale, il manifesto, e mi cambiò la vita, facendomi inseguire sogni e utopie delle sette note.

Da adolescente aveva cominciato a scrivere su fanzine fatte con gli amici, a fare programmi radiofonici e a comprare i giornali specializzati inglesi, «Melody Maker» e «New Musical Express», per conoscere le ultime novità d’oltremanica, a bazzicare i negozi Consorti, Messaggerie e Millerecords per comprare i vinili d’importazione (lavorava in uno studio notarile per pagarsi tutto ciò).

A via Tomacelli arrivò nel 1978, portando una ventata d’anticonformismo e una grande competenza. Tranquillo e gentile, informatissimo, ampliò il ventaglio delle sue passioni confrontandosi con l’immancabile sorriso con gli eretici della sinistra. I suoi amati Talking Heads, Brian Eno e la new wave inglese li fece conoscere a un uditorio sempre più vasto, rincorrendo per l’Italia i Clash (a Bologna nel maggio 1980) e Peter Gabriel (a Firenze in settembre). Un Peter Pan che ti portava a conoscere tutto il meglio di rap, punk, free jazz, soul, rhythm and blues. Cominciò a collaborare con Repubblica, il quotidiano generalista di grande successo, continuando per un paio d’anni a scrivere sulle pagine delle Visioni, curate da Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri, verso cui nutrirà sempre gratitudine e riconoscenza.

IN POCHE STAGIONI la sua carriera decollò a livelli impensabili, riuscendo a trasmettere entusiasmo per le band più sofisticate ma ragionando con intelligenza sul mainstream della musica italiana. La sua cordiale umanità e umiltà convinceva anche manager e artisti recalcitranti. Godeva di estrema libertà e la sfruttava bene, sfornando nuove iniziative a getto continuo, con antologie di cd, libri, pubblicazioni.

Amante di stereofonia, elettronica e tecnologia, ha inventato il supplemento «Musica» (l’aggiornamento dei magazine underground, dove scriveva, come «Musica 80», «Prisma», «Supersound») e «Computer» (intuendone da subito le potenzialità rivoluzionarie), si è lanciato con esuberanza e visionarietà nell’esperienza Kataweb, uno sfortunato portale gratuito e forse troppo avanti per i tempi.

Nel frattempo la sua infaticabile opera di giornalista, critico musicale, diffusore della cultura rock angloamericana, l’ha fatto diventare un personaggio radiofonico e televisivo di successo, portando in giro nelle scuole, nei teatri, nei festival le sue «Lezioni di rock», ideate con Gino Castaldo, un format semplicemente geniale. Quando c’incontravamo di recente, aveva l’innato garbo di sempre, prodigo di consigli e avido di notizie sul «quotidiano comunista» travolto dalle procelle finanziarie.

Ciao Ernesto, amico fragile, disinvolto «professore» di musica e combattente del pentagramma (per qualche mese negli anni ’80 aveva pure fatto un gruppo, i De-Press, tutti giornalisti musicali, dove suonava la chitarra e cantava), dotato di grazia assoluta e radioso talento. Probabilmente questi tempi mefitici e manganellatori non meritano la tua meravigliosa colonna sonora.

L’ultimo saluto a Ernesto domani dalle 12 all’Auditorium Parco della Musica di Roma, nello stesso giorno dalle 9 alle 11 sarà allestita la camera ardente presso il Policlinico Umberto I.