Cantautore outsider è una definizione che calza a pennello per Enzo Carella, stroncato da un infarto mercoledì sera a Roma dove era nato 65 anni fa. Allergico – o quasi alla popolarità – accettò il passaggio sanremese del 1979 (va detto, una delle edizioni più sfigate del festival a cui anche la Rai dedicava poco spazio…) dove arrivò secondo dietro il vincitore, Mino Vergnaghi con Amare (per la cronaca suo unico successo prima di cadere in un lungo oblio, salvo poi ricomparire anni dopo come collaboratore di Zucchero). Erano anni un po’ così per la musica d’autore italiana, il pop vivacchiava con qualche deriva disco e i cantautori «duri e puri» alla Venditti e De Gregori viaggiavano su altre galassie. Enzo Carella era inclassificabile, molta attenzione ai suoni – ascoltare il suo brano d’esordio nel 1976, una piccola perla del genere, Fosse vero, battutissima dalle prime radio private del’epoca, dal sound di impatto e arrangiamenti freschi ancora oggi o la bellissima Malamore.

Entrarono nel suo album d’esordio Vocazione (1977), canzoni costruite sui testi di Pasquale Panella prima che i suoi versi surreali facessero tuttuno con il Battisti post Mogol: «È buffo – raccontava nelle interviste – perché né io né Pasquale avevano intenzione di fare dischi, men che meno di entrare nello show business. In realtà volevamo semplicemente unire parti di sue poesie con le mie canzoni».

https://youtu.be/xFSQ8anF5Co

A scoprirlo fu Alfonso Bettini ma a lanciarlo Vincenzo Micocci, padre e padrone della It – la storica etichetta per cui incidevano molti artisti dell’epoca – fiuto da segugio nello scovare talenti e carattere magari un po’ difficile (chiedetelo ad Alberto Fortis…). Ciò che colpiva in Carella era il suo stile capace di mescolare stili e tendenze (era rock, sofisticato pop e talvolta funk…) unito a un modo tutto suo di stare sul palco. A Sanremo riuscì a catturare l’attenzione dello spettatore più tradizionalista, con i suoi cartelli esibiti durante la performance e le liriche apparentemente nonsense che accompagnavano Barbara «dalla bocca-albicocca». Ancora oggi il suo pezzo cult perché a intonarlo non sono solo gli ex ragazzi ora più o meno allegri cinquantenni – ma insospettabili under 30 che scaricano le sue performance da YouTube.

Nonostante la scarsa dimestichezza con la hit parade, Enzo Carella fra il 1977 e il 1995 realizza cinque album, apprezzatissimi da colleghi come Lucio Battisti – sempre parco di complimenti – che lo definì l’unico cantante che in quegli anni «lo intrigasse» realmente. Terminata la collaborazione con Marco Luberti, nel 1981 incide Sfide, ultimo lavoro prima di una lunga pausa, arrangiato da Elio D’Anna, flautista degli Osanna. Tornerà a incidere solo nel 1992 con Carella de Carellis, composto da materiale edito e qualche nuova traccia.

Nel 1995 un concept album tanto bello quanto sfortunato commercialmente, dove tornava a lavorare con Panella: L’Odissea di Carella e Panella, nel quale viene raffigurato in chiave moderna il percorso di Ulisse. Ancora un lungo silenzio fino al 2007 con Ahoh-yè-nanà, l’ultimo disco realizzato sempre con l’aiuto di Panella.