Lavoro

Addio con rabbia a Yusupha, morto bruciato nel ghetto

Addio con rabbia a Yusupha, morto bruciato nel ghettoIl corteo dei migranti

Sfruttamento agricolo In tanti per l'ultimo saluto al giovane immigrato gambiano, vittima di un rogo nella baraccopoli dove era costretto a vivere perché senza permesso di soggiorno. Gli immigrati in corteo con la Flai Cgil fino alla Prefettura di Foggia: “Lavoriamo qui. Viviamo qui. Siamo qui. Noi esistiamo!”.

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 4 agosto 2022

Siamo stanchi di vivere nei ghetti, stanchi di lavorare senza documenti, stanchi di veder morire i nostri fratelli”. Nel corteo che dalla Camera del Lavoro di Foggia si dirige verso la Prefettura, gli amici di Yusupha Joff gridano la loro rabbia.

Sono arrivati in tanti per dare un ultimo saluto al giovane immigrato gambiano, morto bruciato nell’incendio della baraccopoli, il “gran ghetto”, dove era costretto a vivere.

Sono venuti in pullman da Torretta Antonacci, da Casa Sankara, da Borgo Mezzanone. Yusupha lavorava con loro, fianco a fianco, stagione dopo stagione, in quella Capitanata dove il lavoro agricolo soffre ancora delle piaghe dello sfruttamento, del caporalato e della tratta di chi, senza permesso di soggiorno, diventa una preda facile.

Dalla Svezia è arrivato il fratello, Omar Joff: “Sono rimasto scioccato quando ho visto dove viveva Yusupha. Non ci si può credere”. Non trattiene le lacrime Omar, quando arriva in piazza il camioncino che trasporta la salma. Ha portato la bandiera del Gambia, e la depone sulla bara.

Ora Yusupha potrà tornare a casa. Ma in accordo con la famiglia e con la comunità africana locale, la Flai e la Cgil hanno deciso di dedicargli un ultimo saluto.

Nel ricordarlo, l’amico Waggeh Bajanky va al cuore della tragedia: “Yusupha è morto per un permesso di soggiorno non rinnovato, che lo ha costretto ad andare nel ghetto. Ma come può un paese trattare così chi lo rende ricco con il proprio lavoro, con la propria fatica nei campi? Cenavamo insieme, non dimenticherò mai il suo sorriso”.

Lo striscione della Flai, dietro il quale marciano gli immigrati insieme al segretario generale Giovanni Mininni e Matteo Bellegoni, è esplicativo: “Lavoriamo qui. Viviamo qui. Siamo qui. Noi esistiamo!”.

Anche Mininni è chiaro: “Il tempo della Bossi Fini, e dei decreti Salvini che trasformano le persone in schiavi perché private dei documenti anche se lavorano e vivono qui, deve finire. Quanto ai ghetti, la legge 199 prevedeva che il governo mettesse rapidamente a punto un piano di accoglienza, cancellandoli. Ma sono passati sei anni, e di quel piano ancora non c’è traccia”.

Per questo i sindacalisti pugliesi Pino Gesmundo, Antonio Gagliardi e Daniele Iacovelli marciano insieme ai migranti fin sotto la Prefettura. Per dire che di morti bruciati nei ghetti ce ne sono già stati fin troppi. Basta con i morti, basta con i ghetti.

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