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Addio Benny Golson, libero sax nel jazz

Benny GolsonBenny Golson, 2015 – foto Ansa

Musica Morto a 95 anni il grande musicista, una carriera spesa tra concerti, sale di incisione e colonne sonore

Pubblicato 12 giorni faEdizione del 25 settembre 2024

L’ultimo giorno dell’estate 2024 (il 21) si è portato via Benny Golson, 95enne sassofonista – compositore afroamericano. Attivo fino a pochi anni fa, dopo una breve malattia si è spento nella propria casa a New York, come confermato dal suo agente Jason Franklin.

Golson ha avuto una vita complessa: prima jazzista giovane e rampante, al passo con i tempi dal 1951 ai primi anni ‘60; poi (dalla seconda metà dei ’60 fino al 1980) affermato autore di musica per TV e cinema; in seguito e sino al 2016 e oltre una nuova, fiammante carriera di jazzista – frequenti le esibizioni in Europa ed Italia – suggellata in quell’anno con l’autobiografia Whisper Not e l’album Horizon Ahead (HighNote Records).

Amato da musicisti e studenti di musica (come compositore e solista), Benny Golson ha incarnato in modo originale la figura del “sax hero”, talmente apprezzato che nel 1996 la Howard University istituì un Jazz Master Award a suo nome e il National Endowment for the Arts lo proclamò “Maestro di Jazz”.

Conviene, per meglio ricordare il sassofonista, suddividere la sua opera.

Come compositore Golson è stato uno degli ispiratori di Wayne Shorter e alla sua penna si devono brani formidabili non confinati agli anni ‘50: Along Came Betty, Blues March, Impromptune, I Remember Clifford (in ricordo del magnifico trombettista Clifford Brown), Just By Myself, Killer Joe, Five Spot After Dark, Stablemates, Swing It, Whisper Not… Dal 1963 si è dedicato di più all’arrangiamento, avendo peraltro militato in varie big-band (da Bull Moose Jackson a Dizzy Gillespie).

Non si dimentichi che Benny Golson era nativo di Philadelphia (classe 1929) e che in quella fertile scena si inserì giovanissimo a fianco di John Coltrane, suo amico, Albert e Percy Heath, Red Garland e Philly Jo Jones.

Nel 1953 era stato a fianco di Tadd Dameron e, più tardi, di Johnny Hodges e Clifford Brown, figura fondamentale per la sua carriera.

COME SAXTENORISTA (negli anni ’80 anche al soprano) è stato uno specialista delle ballads (My Romance, I Fall in Love Too Easily ed un elenco infinito di songs) dove sfoggiava sonorità aperta e sensuale vibrato, mentre nei suoi brani metteva in luce un “fraseggio sinuoso (che) contrasta con l’aspetto dei suoi temi sempre molto scanditi” (J.L. Auvray/C.Béthune).

In qualità di sideman fu memorabile la sua militanza – come direttore musicale, dal 1958 – nei Jazz Messengers di Art Blakey; con il batterista sarà ancora nel 1983 ed ’89. Nel 1953 era stato a fianco di Tadd Dameron e, più tardi, di Johnny Hodges e Clifford Brown, figura fondamentale per la sua carriera.

Come leader Benny Golson va associato ad Art Farmer nel codiretto ed originale Jazztet, sestetto di cui fece parte McCoy Tyner che visse dal 1959 al ’62 e risorse nel 1983 e ‘86; nel 1990 il sassofonista diede vita ad un quintetto con Terence Blanchard.

NEL PERIODO in cui fu soprattutto autore di soundtrack, Golson si trasferì a Los Angeles e scrisse, tra l’altro, musiche per Where It’s At (1969, regia di Garson Kanin) e i programmi televisivi M*A*S*H*, Mission: Impossible, The Mod Squad, The Partridge Family.

Indimenticabile la sua apparizione in The Terminal di Steven Spielberg (2004), quando finalmente Viktor Navaroski (Tom Hanks), confinato per nove mesi al JFK Airport, riesce ad incontrare in un club newyorkese il sassofonista che nel 1958 – in tour nell’est Europa – aveva autografato la propria foto, custodita dal padre di Viktor come una reliquia.

Golson come profeta di una libertà espressiva – e non solo – cui il musicista non ha mai rinunciato, incidendo negli anni 2000 – tra i 71 e gli 87 anni – otto nuovi album. Un’emblematica lezione di vitalità.

 

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