Il giorno in cui i fuorisede potranno votare nelle città dove vivono per lavoro o studio certamente arriverà, in Italia come c’è da tempo nel resto d’Europa, ma quel giorno si è allontanato ancora. Mentre alla camera si discuteva il testo base che avrebbe consentito ai fuorisede di votare anche fuori dalla residenza anagrafica (con la formula del voto anticipato «presidiato», cioè in luoghi che ne garantiscano la correttezza) la maggioranza ha tolto il tema dal tavolo. Il relatore, il leghista Iezzi, con un emendamento ha stralciato tutto il testo di legge, sostituendolo con una delega al governo.

Così uno dei pochissimi disegni di legge di origine parlamentare che si era fatto spazio nel bosco di decreti da convertire, tra l’altro un raro disegno di legge in quota alle opposizioni, è diventato in un colpo solo l’ennesimo testo affidato al governo. Con una delega quasi in bianco, che nella prima versione non prevedeva neanche il termine assegnato all’esecutivo per emanare il decreto delegato. C’è voluta l’insistenza delle opposizioni perché si potesse almeno subemendare (formalmente non era un emendamento del governo) e così la maggioranza, accortasi della «dimenticanza», ha previsto un termine. Lunghissimo: 18 mesi. Il che vuol dire che neanche per le elezioni europee della primavera 2024 i fuorisede possono sperare in un diritto di voto pieno ed effettivo.

Ieri nel corso della discussione generale in aula alla camera il Pd ha accusato la maggioranza di «furto» e Iezzi ha replicato facendo notare come le opposizioni avessero avanzato proposte tutte diverse tra loro. Il che è anche vero (si andava dal voto per corrispondenza al ricalcolo dei collegi al voto anticipato), salvo che alla fine si era arrivati sul testo della dem Madia come base. Ma quel che è certo è che affidare il tema alle strutture ministeriali vuol dire affossare la prospettiva di una riforma. Ascoltato in commissione il 13 aprile scorso, il prefetto Claudio Sgaraglia, che al ministero dell’Interno guida il dipartimento per gli affari interni e territoriali, ha chiuso per ragioni tecniche a ogni possibile novità. E così la trasformazione del disegno di legge in una legge delega è anche peggio di un furto: è una pietra sopra alle richieste dei comitati dei fuorisede. E fa il paio quanto a disprezzo per la partecipazione – anche se tutti si lamentano dell’astensionismo – con la risposta che il ministro della giustizia ha dato qualche giorno fa a un’interrogazione del segretario di +Europa Magi. Nordio ha detto che per far entrare in funzione la piattaforma pubblica per firmare online le richieste di referendum e leggi popolari ci vorrà almeno un altro anno. Quando avrebbe dovuto essere operativa già a fine 2021. E quando il ministero della giustizia ha già processato le firme in formato digitale per le richieste di referendum (lo ha fatto la Cassazione). Allora però i promotori avevano dovuto ricorrere a piattaforme private, a pagamento. E così ancora sarà.