Addio al «Diretur» che dava voce a chi non ne ha
Piero Scaramucci E' stato il maestro di giornalismo di decine di noi, ma non è caduto mai nel tranello di pensare che Radio Popolare fosse solo giornalismo. Ha plasmato un paio di generazioni di persone che lavorano qui dentro all'idea che la radio fosse un modo di comunicare una tensione morale, civile, politica, quasi esistenziale attraverso una serie di molteplici linguaggi, modalità, toni, suoni
Piero Scaramucci E' stato il maestro di giornalismo di decine di noi, ma non è caduto mai nel tranello di pensare che Radio Popolare fosse solo giornalismo. Ha plasmato un paio di generazioni di persone che lavorano qui dentro all'idea che la radio fosse un modo di comunicare una tensione morale, civile, politica, quasi esistenziale attraverso una serie di molteplici linguaggi, modalità, toni, suoni
Il giornalismo democratico italiano ha perso una delle sue figure di riferimento e Radio Popolare ha perduto la persona che 43 anni fa la fondò. Piero Scaramucci è morto dopo un mese di ricovero ospedaliero a seguito di un aneurisma. Aveva 82 anni e non aveva perso neppure un’oncia della sua capacità di guardare con approccio critico, quasi radicale, ma sempre profondamente lucido ai fatti del mondo. La sua visione del giornalismo come vero guardiano del potere, come strumento per dare voce a chi non ne ha, la sua idea dei mezzi di comunicazione come strumenti di servizio pubblico, hanno caratterizzato tutta la sua carriera dentro e fuori la Rai e hanno determinato il Dna di Radio Popolare.
Negli anni ’60 e ’70 Piero Scaramucci, in una Rai paludata e di regime, era riuscito a dare la sua impronta di giornalista democratico in inchieste come quella sulla morte di Enrico Mattei, sulla strage di Piazza Fontana, sul processo di Catanzaro. Qualche anno dopo avrebbe scritto con la vedova di Pino Pinelli, Licia, il libro – intervista «Una storia quasi soltanto mia» in cui si raccontavano gli anni della strategia della tensione. Negli anni ’80 per le rubriche del TG1 aveva svolto inchieste e reportage, come quelle della guerra Iran-Iraq e il primo reportage dalla Cambogia del dopo Pol Pot. Nel 1987 ha seguito per il TG2 l’alluvione in Valtellina, facendo arrabbiare l’allora ministro della protezione civile Remo Gasparri per un’intervista molto incalzante sulla cattiva gestione della tracimazione. E’ stato inviato della trasmissione Samarcanda con dirette dai luoghi critici della mafia.
Al TG3 nel 1991 ha condotto l’edizione della notte nel periodo della prima guerra del Golfo. Fu impegnato nel sindacato, tra i fondatori del Gruppo di Fiesole e dirigente della Federazione Nazionale della Stampa. Nel 1992 ritornò alla sua creatura, a Radio Popolare. Amava molto questa radio. Gli ha dato la sua impronta Glocal, globale e locale, un mezzo di comunicazione che riesce a guardare con la stessa intensità e profondità ai fatti della città e del mondo.
E’ stato il maestro di giornalismo di decine di noi, ma non è caduto mai nel tranello di pensare che Radio Popolare fosse solo giornalismo. Ha plasmato un paio di generazioni di persone che lavorano qui dentro all’idea che la radio fosse un modo di comunicare una tensione morale, civile, politica, quasi esistenziale attraverso una serie di molteplici linguaggi, modalità, toni, suoni. Ha insegnato a tutti quanti noi ad essere orgogliosi della nostra indipendenza e a difendere con le unghie questo valore. Il suo ritorno nel 1992 aveva dato alla Radio un’ambizione e un orizzonte nazionale, l’aveva spronata a superare i confini fino ad allora conosciuti. Per questo venne costruito il network con tante altre radio italiane.
Il lavoro in quegli anni fu intenso, pieno di iniziative speciali. Ricordo due tra tutte: la grande diretta di quasi 20 ore della manifestazione del 25 aprile del 1994 da cui Nanni Ballestrini trasse il libro «Una mattina ci siam svegliati» e le giornate intere in diretta dal G8 di Genova. Rimase alla guida della radio per più di 10 anni.
Poi lasciò. Ma in realtà, per tutti quanti noi, ma anche per le migliaia di persone che lo hanno seguito, alla fine, Piero è sempre rimasto il Diretur, con la D maiuscola, come lo chiamavamo in redazione. Negli ultimi anni il suo impegno era dedicato soprattutto all’Anpi. Era uno degli animatori della Sezione Almo Colombo, del quartiere Isola di Milano. Alla compagna Mimosa Burzio e alla figlia Marianna un abbraccio nostro e di tutti gli ascoltatori della radio.
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