Agostino e Tullio, foto di Marco Cinque
Agostino, foto di Marco Cinque

Se n’è andato giovedì sera all’età di 75 anni il nostro Agostino Mortati. È morto a Roma in un “hospice”, struttura dove era ricoverato senza possibilità di guarigione e con cure solo palliative, per la recrudescenza d’un male che lo affliggeva da molti anni. E stato per molto tempo il proto – il correttore delle bozze e non solo – de il manifesto, un compagno unico per personalità, umanità e simpatia che si accompagnavano a un rigore estremo, a volte un vero e proprio «furore coi baffi», e ad una severità di giudizio verso ogni arroganza o presunzione di autorità.

NEGLI ANNI SETTANTA bastava poco per conoscerlo. Era assiduo nelle riunioni di redazione, ma soprattutto nel suo posto di combattimento, la tipografia Lanzara che stampava il nostro giornale. Per ritirare le copie da diffondere il giorno dopo in fabbrica o a scuola, scendendo di sera le scale a chiocciola della tipografia proprio sul Corso, accanto alla chiesa San Carlo e di fronte all’hotel Plaza, lo incontravi intento ad imbandire, con il capo operaio della tipografia, il grande bancone della prima stanza da dove, tra corridoi e gallerie, avveniva la composizione a piombo dei testi, per arrivare alla fornace, la rotativa bollente che fondeva piombo. Piombo da tutte le parti, i tipografi dovevano bere latte per salvaguardare la salute…ma bastava? Agostino, spesso in camice nero come i tipografi, era sempre indaffarato a leggere gli articoli sdraiati su piccoli piedistalli di legno su cui stavano le lettere della composizione, insieme all’addetto della tipografia e ogni giorno in contatto con i due caporedattori di allora Luca Trevisani e Michele Melillo, dopo che gli ultimi articoli erano stati sparati dalla posta pneumatica dal quinto piano di Via Tomacelli. Era il manifesto a fogli giganti, a quattro pagine. Sotto la vigilanza di Agostino per ogni errore sul quale interveniva con l’alfabeto dei correttori a mano – vai a capire se oggi quello automatico è alla stessa altezza nel comprendere il senso degli scritti.

DOPO, CON L’ARRIVO dei primi computer Agostino passò all’organizzazione degli abbonamenti, pecette e indirizzi continuamente da aggiornare. La storia di questo giornale è stata anche questa, perché in quel necessario lavoro manuale anonimo c’era la stessa passone politica di chi scriveva. Agostino aveva una stima ed un affetto profondo per Luigi Pintor al quale riconosceva quasi l’unica, vera autorità politica, e lo ha seguito in tutte le sue, le nostre, battaglie. Divertito e ben disposto allo scherzo, amava la satira: probabilmente è stato il maggiore “collezionista” di tutte le vignette di Vauro; e poi legò subito con Mauro Biani.

Agostino non ha mai smesso di ammonire e rimproverare sugli errori di scrittura – una lunga “tradizione” – del nuovo manifesto, nemmeno dopo essere andato in pensione. Quando, ogni giorno per quasi dieci anni arrivava nella nuova redazione di Via Bargoni a prendere il suo posto, prima per farsi la sua rassegna stampa leggendo tutti i giornali arrivati in redazione come “mazzetta”, poi davanti al computer per giocare, in realtà confessava «per stare tra le compagne e i compagni più giovani».

CON LUI SEMPRE VICINO, due corpi e un’anima, il cane Tullio, il golden retriver che è diventato finché è vissuto la mascotte del giornale – impossibile non volergli bene: quando è morto nel 2016 ha lasciato Agostino, già ammalato, in lacrime e in una disperazione profonda.

La sua amicizia è sempre stata preziosa come i suoi consigli, anche quando sfotteva inutili arroganze, presunzioni di competenze, posizioni prese e irremovibili. Generoso – io gli sono debitore di montagne di mezzi Toscani, il vizio che avevamo in comune – e sempre pronto all’allegria e ad una buona bevuta. La sua voce negli ultimi tempi, prima dell’epidemia di Covid che in tre anni ha separato vite e storie, arrivava sempre più a fatica per via delle corde vocali intaccate dal male, ma bastava il suo sorriso a raccontare una serenità necessaria cercata disperatamente che augurava a tutti noi. Avevo scritto negli anni Ottanta un epigramma per lui: “Ad Agostino Mortati: Finirai allo Stige/ come errata corrige”. Ora sento il dovere di riscriverlo: “Non più allo Stige/ ma nel paradiso di Tullio/ a ridere di errata e corrige”.