Il Lutto per la scomparsa di Raquel Welch è direttamente proporzionale a come ha incarnato, in maniera così totale e prorompente la bellezza e la gioventù. Se Un milione di anni fa (1967) è passato nel dimenticatoio camp da a cui era destinato, la sua protagonista, in quel bikini scamosciato, rimarrà per molti immortale– e non necessariamente solo come rappresentazione di un nuovo archetipo erotico confezionato da Hollywood per quegli anni di complicata transizione. Bastò quel poster per produrre una percezione radicale di «donna come regina della natura» (parole di Camille Paglia che riporta il Times.)
Raquel Welch una forza della natura lo è stata, da quando, ventenne, fresca di divorzio e già madre single di due bambini piccoli, si trasferì a Los Angeles a cercare il lavoro che lei, figlia di padre boliviano e madre americana, cresciuta a San Diego fra lezioni di teatro e danza e concorsi di bellezza, aveva da sempre saputo di voler fare. Come accadeva una volta, fortuna gavetta coincisero per produrre il primo ruolo in Viaggio allucinante (1966) e quasi subito in contratto per sette film nella Twentieth Century Fox di Daryl Zanuck. «Essere donna è di per se un arte che richiede di essere praticata nella sua interezza, soprattutto quando si è nel mondo del lavoro e allo stesso tempo ci è richiesto di essere moglie, madre, amica»

IMMEDIATAMENTE proposta dall’ufficio marketing come nuovo sex symbol e «ultima diva», sopportò la prima riduttiva etichetta come croce inevitabile ma anche senza falsi snobismi riconoscendo sempre schiettamente quanto doveva a quell’indelebile immagine iniziale. «Quando sei famosa per il tuo aspetto fisico c’è sempre il rischio che nessuno ti riconosca altro», dichiarava alla stampa estera di Hollywood nel 1987. «E che presumono che tu sia superficiale sotto ogni altro aspetto. E c’è anche il rischio che tu ci faccia troppo affidamento. Probabilmente per me è stato così, almeno ogni tanto. Ma credo anche di aver tentato, con ognuno dei miei film di fare un passo avanti in diverse direzioni».
Nella sua filmografia ci sono film come Kansas City Bomber sul Roller Derby femminile in cui fece i propri stunt, Party Selvaggio di James Ivory e Verdugo, un western «corbucciano» con Burt Reynolds e Jim Brown (e una ««scandalosa» prima scena d’amore interrazziale con quest’ultimo). Nel 1974 vinse un Golden Globe per il ruolo ne I tre moschettieri di Richard Lester uno di tanti personaggi brillanti cui applicò un considerevole talento comico e l’auto ironia che l’ha sempre contraddistinta e che avrebbe usato anche nella prolifica carriera televisiva.Un percorso ammontato in definitiva a qualcosa di più dell’insieme dei suoi film (e della mediocrità di alcuni dei ruoli interpretati). Sopra a tutto fu autrice della sua stessa traiettoria professionale, come attrice, autrice, cantante, produttrice, ponendosi come soggetto propositivo e rivendicando il diRitto ad un equilibrio con la vita personale come donna e creativa – una proto femminista nella industry.

NEL 1981 quando la Mgm la licenziò da Vicolo Cannery che stava per girare, sostituendola con la più giovane Debra Winger col pretesto dell’inaffidabilità, trascinò lo studio in tribunale strappandogli 10 milioni di danni, anche se le costò un esilio forzato di sei anni da Hollywood. Più tardi è stata attiva nel fitness e nello yoga. «Essere donna è di per se un arte che richiede di essere praticata nella sua interezza», ha affermato, «soprattutto quando si è nel mondo del lavoro e allo stesso tempo ci è richiesto di essere moglie, madre, amica. Credo che dopo gli anni sessanta sia subentrato in parte un senso di futilità degli ideali della mia generazione, quando ci è parso che non eravamo in grado di cambiare il mondo come avevamo pensato. E molte, me compresa, hanno creduto di concentrare l’energia verso il personale – cambiare noi stesse per cambiare il mondo. Penso che se siamo sane, forti e belle, il meglio che possiamo essere, questo a sua volta aiuta il tutto».

LEI CHE ASSIEME forse a Jane Fonda, si trovò regina di una generazione di mezzo, in un momento di profondo cambiamento estetico, politico, culturale di cui la vecchia Hollywood stentava malamente a tenere il passo, ha parlato con schiettezza anche di quello che riteneva un falso moralismo attorno al cinema: «Che male c’è dico io, che ci siano un sacco di belle ragazze a Hollywood? È così tremendo che ci siano ragazze, sexy, sensuali e brillanti nel cinema? Ci sono sempre state ed è giusto che sia così. Invece qui in America siamo ipocritamente puritani e ci stracciamo le vesti e crocifiggiamo ogni nuova generazione di attrici, piuttosto che riconoscere il loro valore. Ci sono attrici bravissime ad interpretare Macbeth o Medea ma non ci daranno mai quello che hanno potuto darci Rita Hayworth o Marylin Monroe».