Addio a Pierre Cardin, lo stilista che pensava gli abiti del futuro
Icone Con le sue forme astratte ha rivoluzionato l’alta moda nel dopoguerra
Icone Con le sue forme astratte ha rivoluzionato l’alta moda nel dopoguerra
«L’abito che preferisco è quello che immagino in una vita che ancora non esiste, nel mondo di domani». Lo ripeteva spesso Pierre Cardin, stilista e imprenditore del proprio marchio universalmente riconosciuto, che questa visionarietà l’aveva distillata in ognuna delle sue creazioni. Sempre avanti Cardin, il primo a aprire un proprio «corner» nei grandi magazzini, a portare sulla passerella gli uomini, a organizzare un sistema di licenze che hanno permesso al suo nome una diffusione planetaria – e con prodotti diversi, dalle sigarette ai profumi alle cravatte. A inaugurare con l’Espace Cardin un grande spazio gestito da un designer, oggi pratica comune. Quel suo stile op’art si è imposto nell’immaginario collettivo – dal colletto alla Mao dei Beatles ai vestiti avant garde o «futuristi», meravigliose costruzioni di una space age di libertà, della conquista spaziale, dei sogni degli anni sessanta.
Cardin era nato Pietro Costante Cardini nel 1922 a Sant’Andrea di Barbarana (Venezia), famiglia di agricoltori che il fascismo aveva spinto a lasciare l’Italia riparando in Francia. E le sue origini da figlio di immigrati e dei sobborghi le aveva sempre rivendicate con orgoglio. A 14 anni inizia a lavorare come apprendista da un sarto a Saint Etienne, e nel 1944 entra prima alla maison Paquin, a Parigi, dove partecipa alla realizzazione dei costumi e delle maschere per La Bella e la Bestia di Cocteau (1946), poi raggiunge quella di Elsa Schiapparelli.
Quando la guerra finisce, nel 1947, viene assunto da Dior che aveva appena aperto il suo spazio, e tre anni dopo, nel 1950, Cardin si lancia in proprio. La sua sarà una vera e propria rivoluzione dell’alta moda in cui fa irrompere forme circolari e astratte – c ome per il suo famosissimo Bubble Dress – l’idea di un abito pensato come una scultura, nuovi materiali, tessuti artificiali col quale realizza la linea Cosmocorps utilizzando anche una pelliccia finta che farà scandalo. Ispirati alla pop art i motivi e i colori dei suoi tessuti diverranno il simbolo del rinnovamento della moda nel dopoguerra specialmente tra i più giovani.
A DIFFERENZA di altri stilisti Cardin decide però di «democratizzare» l’offerta proponendo nel 1962 alcuni pezzi della sua collezione in vendita al grande magazzino (seppure di lusso) parigino Printemps. Il mondo della moda insorge al punto da cacciarlo dalla Chambre Syndacale de la Couture – di cui però diventerà poco dopo il presidente. Racconterà così le ragioni di quella scelta: «Credevo molto nella diffusione su più ampia scala, è grazie al prêt-à-porter se esisto oggi. Non ho mai considerato un disonore lasciare i saloni dorati per uscire in strada».
Ma anche queste «provocazioni» sono parte del suo gesto artistico: del resto nel 1960 è sempre Cardin a lanciare la prima collezione maschile facendo sfilare 250 studenti delle università parigine, o a imporre sul podio delle sue sfilate la prima modella giapponese, Hiroko Matsumoto, di cui si era innamorato qualche tempo prima a Tokyo.
Nel 1978, subito dopo la morte di Mao, Cardin sbarca in Cina, sfilando sulla Grande Muraglia, e avvia così la conquista del mercato asiatico – dove si era già affacciato nel 1957 esplorando il Giappone – e nel 1986 arriva in Unione sovietica. Anche queste decisioni saranno molto criticate ma gli esiti, che sono poi la realizzazione di un impero economico mondiale – con almeno 500 fabbriche in 110 paesi – gli daranno ragione.
NEGLI ANNI conferma la sua abilità con gli investimenti: dal ristorante Maxim’s di cui apre sedi a New York, Rio, Pechino all’acquisto, nel 2001 dei ruderi del castello di Lacoste, dove un tempo aveva vissuto anche il Marchese De Sade, che restaura parzialmente organizzando lì ogni estate un festival di musica per artisti emergenti.
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