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Addio a Paolo Bologna, quel partigiano che a 16 anni salì in montagna

Il ricordo È morto Paolo Bologna, ex partigiano protagonista della Repubblica dell’Ossola

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 13 febbraio 2015

Era andato coi partigiani a sedici anni, Paolo Bologna. Nella brigata Matteotti, con la quale prese parte alla straordinaria esperienza della Repubblica dell’Ossola. Poi si era aggregato alla divisione Valtoce, e con loro era fuggito in Svizzera alla riconquista della valle da parte tedeschi e fascisti.

Paolo Bologna è morto nella notte di mercoledì nella sua casa di Domodossola. Dopo la guerra era stato per vent’anni presidente dell’Anpi della sua città, e poi aveva scritto alcuni libri sulla Resistenza ossolana. Quando qualche mese fa ero andato da lui, per un’intervista sulla sua scelta partigiana, mi aveva detto: «Non amo parlare di me». È che Paolo amava, come me, le storie degli altri, ascoltarle e intrecciarle. Tra i suoi libri c’è «Il prezzo di una capra marcia», in cui, ispirandosi al modello di La strada del Davai di Nuto Revelli, aveva raccolto molte testimonianze dirette di partigiani ossolani.

«Il prezzo di una capra marcia» era l’espressione che aveva usato un contadino per dire di quando aiutava la gente a espatriare per le montagne in cambio di mille lire a persona, il prezzo di una capra, appunto, ma di una capra «marcia» («si faceva per umanità»).

Quel contadino di Crodo, che si chiamava Secondo Jorda, era stato beccato dai tedeschi la volta che avrebbe dovuto far scappare un certo Mike Bongiorno: qualcuno aveva fatto la spiata. Quattro mesi a San Vittore, e poi al campo di lavoro di Bolzano. Era solo una delle tante storie raccolte da Paolo in quel libro del 1969, in cui c’era anche un intervento di Gianfranco Contini. Dieci anni dopo aveva pubblicato il libro su «La battaglia di Megolo» (dove era morto il comandante Beltrami), con la prefazione di Pajetta, il cui fratello era morto in Ossola.

Quando, a casa sua, gli avevo detto che sarei tornato, aveva risposto: «Eh, non so se la prossima volta ci sono ancora». Pensai fosse spirito valligiano ossolano. Lo era, in effetti. Ho solo fatto in tempo a telefonargli, qualche giorno fa, che ancora non sapevo della gravità delle sue condizioni, per chiedergli una foto da partigiano da mettere nel mio libro. Aveva ancora voglia di scherzare, con la stessa leggerezza di quel ragazzo di sedici anni che era salito in montagna.

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