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Addio a Paco de Lucia, l’anima del flamenco

Addio a Paco de Lucia, l’anima del flamencoPaco de Lucia

Ritratti La Spagna piange il grande chitarrista stroncato da un infarto a 66 anni Dai dischi con Camaron de la Isla alle sperimentazioni jazz, blues e bossa nova

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 27 febbraio 2014

Il mare racchiude come due parentesi la vita di Paco de Lucia, il genio della chitarra flamenca scomparso ieri per un arresto cardiaco. L’ultimo sguardo l’ha rivolto verso l’oceano Atlantico, su una spiaggia di Cancún. Il primo, 66 anni fa, gli aveva dischiuso l’orizzonte ampio ed assolato del Mediterraneo, in quel groviglio di vicoli, rumori e lingue che è Algeciras, città di porto in bilico tra la Spagna e il Marocco, nel cuore caldo e profondo dell’Andalusia. Non avrebbe potuto nascere altrove, l’uomo che ha reinventato il flamenco, l’ha consacrato e l’ha fatto conoscere al mondo. Solo nelle terre del sud, nelle nottate tiepide e lunghe dell’estate andalusa, si può respirare, si può vivere il flamenco; si può diventare il flamenco.

È lì dove el arte jondo, che è una cultura, una maniera di vivere, incubato nelle tabernas in cui si suona fino all’alba, consuma il suo sortilegio. Il resto l’ha fatto il talento straordinario di un bambino di nome Francisco Sanchez Gomez, che ha imbracciato la chitarra a cinque anni per diventare Paco de Lucia ed entrare nell’olimpo dei più grandi chitarristi della storia. Ma ieri la Spagna non ha pianto solo un grande musicista. Ha salutato anche uno dei miti della sua cultura popolare, che pizzicando le corde della chitarra ha saputo far vibrare fuori e dentro le frontiere del paese l’anima spagnola. Un chitarrista capace di e dar voce «a tutto quanto si possa esprimere con le sei corde», come sottolineò la giuria che nel 2004 gli consegnò il prestigioso premio Principe de Asturias de las Artes (apice di un palmares che comprende due lauree honoris causa – una dell’università di Cadiz e una del Berklee College of Music – e una medaglia d’oro al merito nelle belle arti). Un giudizio totalizzante, perentorio. Ma, d’altra parte, perentorio e totalizzante è stato anche il contributo di De Lucia alla musica flamenca, trasformata, rielaborata, dal suo tocco rivoluzionario capace di sperimentare, contaminare, mischiare, di fare del flamenco, insomma, un fenomeno culturale di portata internazionale senza tradirne l’essenza popolare. Lo spiega anche Juan Gomez Chicuelo uno dei più importanti chitarristi di flamenco in attività «Tecnicamente è possibile che qualcuno riesca a suonare meglio di lui, ma quello che lo rende irraggiungibile è la traiettoria evolutiva che ha avuto nell’ambito di questo genere musicale». E pensare che negli ultimi anni, nella sua casa di Palma di Mallorca aveva quasi smesso di suonare dedicandosi ad una vita piuttosto ritirata, forse stanco di una notorietà arrivata relativamente presto.

La fama e il successo commerciale arrivarono, infatti, negli anni settanta, soprattutto con il singolo Entre dos aguas, che diede un colorato tocco musicale ai primi grigi anni della democrazia spagnola. Fu proprio in questo periodo che il chitarrista mise il suo virtuosismo strumentale (la tecnica dell’alzapua e del rasgueo, portano la sua firma) al servizio della voce del grande Camarón de la Isla: ne nacquero una leggendaria coppia artistica e una decina di dischi in studio (Duende Flamenco del 1972, Fuente y Caudal, 1973, tra i più importanti) che consacrarono De Lucia come uno dei massimi esponenti del flamenco e lo proiettarono nel panteon degli immortali della cultura popolare spagnola.

Ma il chitarrista iberico – che deve alla madre portoghese, Lucia, il nome d’arte – è andato anche oltre i confini del genere che lo ha consegnato alla storia. Il suo talento e il suo eclettismo vocazionale lo hanno portato verso il jazz, il blues, la bossa nova, la salsa, fino a sperimentazioni più audaci come la musica indiana e quella araba.

Però il nome di de Lucia resterà legato al flamenco, che è una parte importante del ricchissimo patrimonio culturale spagnolo. Per questo ieri è morto anche un pezzo della cultura della Spagna contemporanea. E ora resta il dubbio di non averlo valorizzato abbastanza in vita: «Il fatto è che nessuno ha gli strumenti per capire fino in fondo ciò che suonava De Lucia, ciò che faceva con la chitarra – riflette ancora Juan Gómez Chicuelo. Si può godere della sua musica ma capirla fino in fondo è un’altra cosa». È così d’altra parte che funziona sempre con il talento dei geni.

 

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