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Addio a Natalie Cole, note jazz nel nome del padre

Addio a Natalie Cole, note jazz nel nome del padre

Musica Morta a 65 anni la cantante californiana figlia del celebre Nat King. Dagli esordi r'n'b al successo da 14 milioni di copie e 6 Grammy Awards di «Unforgettable», in cui rilegge il repertorio del padre e duetta virtualmente con lui

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 2 gennaio 2016

Una voce e un temperamento brillante, a dispetto dell’ombra lunga e ingombrante del padre Nat, per Natalie Cole, morta ieri al Cesars Sinai Medical Center di Los Angeles a 65 anni. Proprio per questo, probabilmente, Natalie ha cercato agli inizi di distaccarsi completamente dallo stile del celebre crooner e dalle sue ballate sensuali che profumavano di jazz e pop. La prima fase della carriera si orienta su un versante rhythm’n’blues e esplode subito con Inseparable (1975), in cui è inserita una hit che la porta dritta in cima alle classifiche americane, This Will Be (An Everlasting Love), facendole guadagnare i suoi primi due Grammy come miglior artista esordiente e mirglior performance femminile in ambito R&B.

Seguono altri lavori, sempre sull’onda di un soul leggero con qualche venatura disco – Natalie (1976), Unpredictable (1977) e I love You so (1979), un album inciso in coppia con una star del periodo, Peabo Bryson. Sono anni costellati da successi nel segno di una frenetica attività live, ma che nascondono un forte disagio interiore che la cantante californiana combatte attraverso l’uso, di eroina, crack e cocaina. Lo racconterà anni dopo, nel 2000 nell’autobiografia Angels on my shoulder, in cui rivela come è riuscita a vincere i suoi demoni che le hanno però lasciato una pesante eredità, una diagnosi crudele: epatite C.

Un periodo complicato che costringe Natalie a defilarsi del mondo della discografia, il calo di popolarità è inevitabile dettato anche da alcune scelte non propriamente felici – come I’m ready (1983) – fino a rilancio (1987) con Everlasting, in cui è inserita una curiosa quanto riuscita cover di Pink Cadillac di Bruce Springsteen. Ma l’ombra di Nat – che aveva accompagnato l’appena undicenne figlia alle prime audizioni – si palesa in Unforgettable…with love (1991), una raccolta in cui Natalie riproponeva i grandi successi del padre – da That Sunday That Summer, Mona Lisa, Too Young, fino alla celebre title track dove intreccia virtualmente la sua voce con quella del genitore, inaugurando la (discutibile) moda dei duetti con il caro estinto. È un successo di dimensioni planetarie, 14 milioni di copie vendute e ben sei Grammy Awards conquistati. Unforgettable rappresenta per lei un vero cambio di registro e di repertorio: «per riuscire a entrare in quei brani – spiega in un’intervista all’Associated Press – ho dovuto dimenticare l’r’&’b con cui ero cresciuta e i trucchetti del pop. E ho capito che quei pezzi erano nel mio dna. Quando ho iniziato a pensare al disco l’ho immaginato come una sorta di riconnessione con mio padre, così al momento di incidere l’ultimo brano mi sono sentita vuota perché è stato come dirgli ancora ancora addio».

Ma il successo di Unforgettable diventa per Natalie anche una doratissima gabbia, e i progetti successivi in un modo o nell’altro la vedranno sempre più nei panni di una sofisticata jazz singer alle prese con standard pescati nell’american songbook. Nel più riuscito Stardust (1996) si cimenta con classici senza tempo di Irving Berling, Jerome Kern, Antonio Carlos Jobim e – ancora una volta – l’amato Nat King Cole, ancora in un duetto – baciato dall’ennesimo Grammy, sulle note di When I Fall in Love.

https://youtu.be/30PqLGidLeM

Sempre dedicato alla rilettura degli evergreen, ma con un’impronta decisamente moderna e jazz oriented è Ask A Woman Who Knows – il primo inciso per la Verve (2002), dove ripesca un paio di standard resi celebri da Dinah Washington – I haven’t Got Anithyng Better to Do e il pezzo che intitola l’album, senza dimenticare un antico hit del padre It’s Crazy.

Accanto all’attività discografica, negli ultimi anni Natalie ha alternato performance attoriali sul piccolo schermo, come guest star in alcune serie di successo come Touched by an Angel e Grey’s Anatomy, «ma ciò che amo di più – scriveva nel 2008 nel suo sito ufficiale – è salire su un palcoscenico e cantare per il pubblico, accompagnata da un’orchestra o meglio ancora da una big band…».

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