Addio a Jean-Pierre Beauviala, l’inventore del «gatto» e della «libellula»
Cinema Le sue cineprese, fatte per adattarsi al corpo dell'operatore, avevano interpretato le richieste della Nouvelle Vague
Cinema Le sue cineprese, fatte per adattarsi al corpo dell'operatore, avevano interpretato le richieste della Nouvelle Vague
Se ne è andato mercoledì scorso. Era un inventore che non ha mai smesso di voler essere un uomo nel senso rinascimentale del termine. Gran parte dei suoi progetti erano legati alla sua passione per il cinema che conosceva intimamente sia come teoria che come pratica. Ora è noto che, più di ogni altra arte, il cinema è provocato, nel proprio stesso fondamento, dalla tecnologia. Jean-Pierre Beauviala con le sue idee ha scosso il cinema, soprattutto francese, dotandolo di strumenti inventati per rispondere alle tendenze che accomunano i cineasti d’oltralpe dalla Nouvelle Vague fino ad oggi.
Nota è la sua tecnica di sincronizzazione diretta del suono (attraverso un time code che la macchina stampa sulla pellicola). Operazione che richiedeva altrimenti dei procedimenti laboriosi, ostacolando la reattività del cineasta (essenziale nel documentario, ma non solo). Beauviala interpretava così una richiesta che accomuna tutta la Nouvelle Vague (che in una formula potremmo definire: più leggerezza). Ma il filo che lo legava a quel mondo è doppio: anche lui aveva qualcosa da chiedere al cinema. E lo faceva dando forma alle proprie macchine, iscrivendovi un modo di praticare il mestiere di cineasta.
LE SUE CINEPRESE sono fatte per adattarsi al corpo dell’operatore. La più famosa, «le Chat» (il gatto), è una super16 millimetri, leggera e silenziosa, studiata in modo da tenere quasi in equilibrio da sé sulla spalla. Il visore si trova subito vicino all’occhio, quasi ne fosse l’estensione naturale. Si sa che la riflessione più radicale che la Nouvelle Vague ha sviluppato è l’idea secondo la quale ogni movimento di macchina comporta una responsabilità morale (e non solo estetica) da parte del regista. Se Rivette e Godard hanno tessuto senza posa il filo di questo pensiero, si può dire che Beauviala ne ha sviluppato il lato tecnico.
Non è un caso se i «Cahiers du cinéma», che alla fine degli anni ’60 cercano di ricostruire il proprio bagaglio teorico, bussano alla porta di Beauviala, il quale nel 1971 aveva fondato Aaton, e negli anni successivi aveva riflettuto con gli autori più d’avanguardia (soprattutto Godard) su quali macchine potessero cambiare il modo di fare cinema.
C’è la «Libellula» che invece di posarsi sulla spalla si adatta alla testa e alla guancia. Tutte impongono un rapporto che potremmo definire «vitruviano» tra l’operatore e la cinepresa. È il caso della «Penelope», altra cinepresa leggendaria di Aaton, un 35 millimetri che utilizza in formato 1.85 tre perforazioni anziché quattro, riducendo la pellicola (e dunque peso) di un quarto oppure due, in formato 2.35.
La cineasta e direttrice della fotografia Caroline Champetier ne da un esempio magistrale nel film di Xavier Beauvois, Des hommes et des Dieux, dove la leggerezza della Penelope e la sua stabilità fanno apparire fissa un’immagine girata in realtà a spalla, oppure permettono una sottile respirazione, come nell’ultima inquadratura dove un’impercettibile beccheggiare della macchina infonde un soffio metafisico all’uscita di scena dei monaci.
Nel 2009 Beauviala era venuto a Roma con Caroline Champetier a cui era dedicata una retrospettiva che rendeva omaggio anche a lui – tanto la loro complicità è di lungo corso. Se c’è un inventore che meriterebbe una retrospettiva, questo è Jean-Pierre Beauviala. E sarebbe bellissima: attraverserebbe mezzo secolo di cinema. Negli ultimi anni della sua vita professionale si era lanciato nell’impresa di rendere umano il digitale, trovando l’escamotage tecnico per reintrodurre la materialità poetica dei sali d’argento nel freddo universo dei pixel.
ERA NATO il 22 luglio del 1937. Era ironico e affabile, dolce nei rapporti umani ma pronto ad indignarsi e pugnace al momento giusto. Come si dice del genio, amava imporre le proprie regole all’arte e alla vita. Appassionato d’architettura, era all’origine di progetti a Grenoble, e a Mens. Chi ci è stato racconta che i suoi appartamenti avevano qualcosa di incompleto: un bagno senza porta, un’apertura senza finestra… Come se Beauviala non ne avesse ancora inventate di sua convenienza. Caro pirata, addio.
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