Addio a Guido Bodrato, amico del manifesto
Guido Bodrato – LaPresse
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Addio a Guido Bodrato, amico del manifesto

Il ricordo Politico orgogliosamente democratico cristiano, era genuinamente aperto alla diversità delle idee e delle posizioni, anche distanti dalle sue, come quelle del quotidiano comunista
Pubblicato più di un anno faEdizione del 10 giugno 2023

È stato un amico del manifesto, Guido Bodrato. Sottolinearlo in cima all’omaggio che dedichiamo alla notizia della sua scomparsa potrebbe in fondo interessare solo noi del collettivo del giornale. Ma non è autoreferenzialità. È una chiave per raccontare questo personaggio, più volte ministro, esponente di spicco della sinistra diccì, tra i protagonisti della prima repubblica e dei primi anni di quello che venne dopo.

Politico di razza, orgogliosamente democratico cristiano, era genuinamente aperto alla diversità delle idee e delle posizioni, anche quelle molto distanti dalle sue, com’erano, appunto, quelle del quotidiano comunista, in un’epoca in cui la Dc esercitava un dominio incontrastato: era “il potere”, una visione che trovava eco nel non moriremo democristiani di Luigi Pintor, una scaramanzia contro la rassegnazione all’eternità del regime diccì (parole che invece si sarebbero rivelate profetiche).

Non era, in Bodrato, condiscendenza del potente verso di noi, comunisti, ma un interesse genuino, tutto politico, a conoscerci, a comprendere i nostri punti di vista, a entrare in relazione con noi. Con Valentino Parlato aveva stabilito un bel rapporto, e anche con molti di noi che frequentavamo Montecitorio come cronisti parlamentari. Al manifesto diede anche una mano quando bisognava avere il sostegno in parlamento per il rinnovo, sempre in bilico, della legge per l’editoria o per avere accesso a crediti.

Persona colta e informata, un intellettuale cattolico influenzato dal pensiero dei francesi Mounier e Maritain, Bodrato s’infervorava nelle discussioni, il viso diventava rosso, per passione, un po’ per timidezza, la cadenza torinese saliva di tono. I capannelli di cronisti che si formavano intorno a lui erano diversi da quelli intorno ai papaveri in Transatlantico, per mendicare mezza informazione. Con Guido si “volava alto”, per dirla con Alfredo Reichlin. Con lui si restava a bocca asciutta se si cercavano notizie o retroscena. Paolo Franchi aveva coniato un termine per descrivere le conversazioni con il politico torinese seduto su uno dei divani di Montecitorio: abbodratarsi.

Un giorno – una giornata della Storia, quella in cui fu ammainata la bandiera rossa sul Cremlino – Guido era come fosse piombata una meteora sulla terra. Turbato, colpito personalmente, sembrava angosciato più lui di tanti comunisti, sosteneva che il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Aveva ragione. Era un evento che non parlava solo della caduta del socialismo realizzato, ma di un terremoto che scuoteva l’Europa e avrebbe avuto forti riverberi sul nostro sistema politico.

Veniva da pensare, parlando con Bodrato, che lui non ci azzeccava niente con tipi come Gava e Andreotti, con dorotei come Gaspari e Lattanzio, con personaggi come Forlani o Scotti. In realtà, proprio l’apertura e la disponibilità verso la sinistra, anche la più estrema, erano figlie culturali del pluralismo, territoriale e politico, che caratterizzava la Democrazia Cristiana, partito più laico e autonomo dalla chiesa di quanto non si pensasse. Infatti, pur vicino alle posizioni di Ciriaco De Mita, Bodrato era però molto critico verso il suo tentativo di modernizzare la Democrazia Cristiana.

Nel progetto demitiano vedeva una torsione accentratrice e leaderistica che avrebbe alterato la natura stessa del partito. Un sinedrio di capicorrente – anche se molti di loro discutibili e diversissimi da Bodrato – era senz’altro preferibile al leaderismo di stampo “presidenzialista”, che sotto varie forme sembrava prendere piede nel sistema politico, con Craxi e con lo stesso De Mita.
“Con il presidenzialismo il Parlamento diventa… che conta come il due di picche!” Molto attivo sui social, passione illimitata per la politica, così scrive il 9 maggio in uno dei suoi ultimi tweet, nell’evidente angoscia di chi avverte che una delle battaglie della sua vita – la difesa della democrazia parlamentare dall’assalto presidenzialista – rischia di concludersi con un’altra bandiera-simbolo della storia che è ammainata.

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