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Addio a Francesco Di Giacomo, l’incantatore del rock che stregava anche Fellini

Addio a Francesco Di Giacomo, l’incantatore del rock che stregava anche FelliniFrancesco Di Giacomo

Ritratti Muore a 67 anni in un incidente stradale la storica voce del banco e del progressive italiano. Molte esperienze, dal pop alla classica fino al fado

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 23 febbraio 2014

Un incidente d’auto, forse dovuto a un malore. Così se n’è andato Francesco Di Giacomo voce e presenza da oltre quaranta anni del Banco di Mutuo Soccorso. Era nato a Siniscola, in Sardegna, cittadina in provincia di Nuoro con un fantastico mare a due passi, 67 anni fa. Agli inizi degli anni Settanta viene contattato durante il Festival Pop di Caracalla, forse il primo tentativo italiano fatto per replicare i grandi raduni rock statunitensi e britannici. Vittorio Nocenzi, con Marcello Todaro e Renato D’Angelo si rivolgono a lui perché sono in cerca di un cantante per la loro band: Banco di Mutuo Soccorso.

In diverse occasioni Francesco ha avuto modo di ricordare e scherzare sull’episodio affermando che Vittorio «cercava un cantante alto e biondo ed arrivai io». Praticamente l’opposto. Traccagnotto, lunga barba nera ma carismatico. Se n’era accorto anche Fellini, sì, proprio Federico che un paio d’anni prima lo aveva scritturato per una comparsata nel Satyricon in cui Francesco suonava uno strumento a corde in una stradina della Roma antica. Evidentemente soddisfatto della scelta il grande Federico lo volle anche in Roma e soprattutto in Amarcord dove faceva parte della scorta del califfo presso il grand Hotel di Rimini.

Digressioni curiose che sottolineano però la grande presenza scenica di Francesco nel momento di massimo fulgore di quello che successivamente venne etichettato come il progressive rock italiano (PFM, Orme, Area, Osanna e Banco). Praticamente un momento d’oro (e irripetibile). Erano riusciti a superare i confini ottenendo significativi riscontri anche all’estero. Anche qui si racconta che prima di un concerto giapponese i componenti del Banco fossero in fila per entrare, sino a quando qualcuno non li riconobbe. Si erano messi in coda tra il pubblico che doveva acquistare il biglietto, mentre chi aveva già preso posto cominciava a rumoreggiare per il ritardo. Ma Francesco non era solo una presenza inconfondibile, aveva anche una voce tenorile che sapeva modulare perfettamente rendendo davvero unico il suo modo di interpretare i brani. E non finiva qui perché le parole erano quasi sempre farina del suo sacco. Testi che sembravano rifarsi ai poemi cavallereschi e alla poesia in generale, nulla a che vedere con le cosiddette canzonette.

Una creatività debordante che lo ha portato a collaborare occasionalmente anche con altri gruppi e cantanti. Ci piace ricordare come, dopo avere coniugato il Fado con Eugenio Finardi, abbia partecipato al disco Ferré, l’amore, la rivolta dei Tête de Bois, cantando il brano Il tuo stile, lavoro realizzato per l’etichetta del manifesto. Così come ha partecipato a due cd degli Indaco, sempre per il manifesto.

Il particolare impasto del Banco, capace di coniugare il rock con sonorità più mediterraneee, con l’aggiunta di echi operistici legati alla voce di Francesco ha costituito una sorta di marchio di fabbrica che ha consentito al gruppo non tanto di sopravvivere ma addirittura di tornare al successo negli anni Novanta, successo salutato da un tour mondiale in Giappone, Messico, Usa, Panama, Brasile. E proprio nel corso di due serate trionfali in Giappone il tour è stato immortalato in un album live: Nudo.

Una decina d’anni fa, per celebrare i trenta anni di attività del Banco di Mutuo Soccorso è stato pubblicato No palco, un altro brano live. Francesco, che viveva nella campagna romana, era anche un grande esperto di cucina regionale, campo in cui eccelleva al punto da essere anche diventato insegnante in appositi corsi.

Ma il suo maggior talento è quello legato alla scrittura dei testi, geniale ove si consideri che Francesco era un autodidatta, ma capace di cogliere e capire intuitivamente, forse grazie a una curiosità che unita a sensibilità e intelligenza lo ha portato a diventare Francesco Di Giacomo l’icona del gruppo, ma anche la voce e in qualche modo l’anima stessa. Poi, contrariamente alla raffinatezza dei testi (una sua poesia è diventata l’insieme dei titoli dell’album …di terra) c’era l’uomo, semplice, simpatico, diretto a detta di chi lo ha conosciuto di persona. A noi rimane quel lampo, quella presenza che, nonostante gli anni passati, la barba non più nera, ce lo ha reso familiare e iconico come uomo e come compagno di viaggio di quattro decenni.

 

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