Per i suoi novant’anni erano previsti grandi festeggiamenti in musica, la sua, ma per varie difficoltà organizzative, prima tra tutte la situazione di impasse del Conservatorio romano, ce ne sono state poche molto intime, quasi familiari. Ai suoi novant’anni è seguita una grave malattia e subito dopo la morte nella tarda serata del 19 novembre. Proprio da pochi minuti era finito il concerto alla Sala Frescobaldi dell’Auditorium S.S. Apostoli a Roma di allievi del Conservatorio dell’Aquila con tutte le sue musiche per pianoforte. Le musiche per pianoforte di Fausto Razzi. Un omaggio gentile, forse ingenuo.La leggerezza sapiente (indimenticabile!) di Protocolli (1989), per esempio. Un’azione scenica ideata insieme a Edoardo Sanguineti, dal cui testo omonimo Razzi aveva ricavato uno dei «libretti» più riusciti

Ne emergeva un Razzi più semplice, più scandito, più «narrativo» di quel che era.Ma in fondo era opportuno far venire alla mente un aspetto, quello della leggerezza e dell’ariosità, che per molti non era scontato all’ascolto delle musiche rigorose – ma non penitenziali e tantomeno schematiche – di questo compositore. Razzi ha vissuto i suoi ultimi anni in un isolamento in parte cercato, data la sua intransigenza verso il sottobosco della musica contemporanea, in parte voluto da un ambiente che non gli perdonava i suoi giudizi non concilianti e il suo legame a un’idea di avanguardia tutt’altro che dogmatica.

LA LEGGEREZZA sapiente (indimenticabile!) di (1989), per esempio. Un’azione scenica ideata insieme a Edoardo Sanguineti, dal cui testo omonimo Razzi aveva ricavato uno dei «libretti» più riusciti che si possano immaginare (ma non assomigliava affatto a quelli dei melodrammi passati e presenti). Con le voci impertinenti alle prese con i versi dissoluti di Sanguineti si ascoltavano in Protocolli archi disgregati soavemente, cellule sonore autonome in cui affiorava un lirismo contenuto però disteso. L’ariosità di Per Piano 2 (1989), per esempio. Un brano dove i nuclei sonori autonomi sono scabri, quasi cupi ma sprigionano una imprevedibile suggestiva quantità di risonanze, di echi, di desiderio del viaggio verso nuove dimensioni dell’essere.

SULLA POSSIBILITA’ di agire ancora nella prospettiva dell’avanguardia senza demonizzare – come ormai è d’uso – questa stessa parola, Razzi aveva detto recentemente in una intervista ad Alias: «L’artista desidera nuove scoperte, desidera qualcosa che magari contraddica il senso comune». Il sapore delle avanguardie e neoavanguardie storiche non era del tutto scomparso nei lavori di Razzi, come si nota negli episodi puntillisti in certo senso post-weberniani di alcuni pezzi pianistici, in particolare in Musica per pianoforte scritta nel magico anno 1968. Questo compositore considerato austero e magari poco aggiornato era stato il primo in Italia a firmare un brano musicale fatto col solo computer. Si trattava di Progetto per una composizione elettronica che fu realizzato tra il 1971 e il 1973. Ma niente feticismo delle nuove tecnologie. «Per me», diceva, «il computer è stato sempre un mezzo e non un dispositivo a cui affidare le proprie risorse espressive come se lui facesse tutto da solo».