Secondo un’intervista rilasciata a «The Guardian» in occasione dell’uscita the The Hunger Games: Catching Fire, in cui interpretava il fascistoide presidente Coriolanus Snow Donald, Sutherland avrebbe capito il potere del cinema quando aveva diciannove anni, dopo aver assistito a un doppio programma, fatto di La Strada di Federico Fellini Orizzonti di gloria, di Stanley Kubrick. «Quando sono uscito da quel cinema, ho iniziato ad afferrare tutto quello che trovavo intorno a me – pietre, ghiaia…- e a scaraventarle contro l’asfalto, tanta era l’ingiustizia che sentivo dentro», ha detto l’attore al giornalista del quotidiano inglese.

Donald Sutherland con Gerard Depardieu e Robert De Niro in una scena di «Novecento» di Bertolucci (1976)

DA QUEL POMERIGGIO del 1958, a Toronto, fino ad oggi Sutherland – scomparso ieri all’età di 88 anni- ha sempre continuato a credere nella forza contundente del cinema, e a usarla nel suo lavoro.

Nella stessa intervista, in cui si auspicava che la rivoluzione di Katniss Everdeen ispirasse analoghi istinti di rivolta nelle nuove generazioni, Sutherland si era rammaricato: «Il fatto è che, da trent’anni a questa parte, i giovani sono immobili. Sono consumati dal telefonino – dai tweet. Nel ’68 noi ci siamo ribellati».

Più ancora dei coetanei «di sinistra» Robert Redford e Warren Beatty e almeno quanto la compagna di battaglie Jane Fonda (con cui ha anche realizzato il mockumentary contro la guerra in Vietnam F.T.A), Sutherland è sempre stato associato allo spirito dell’America dei Sixties – sugli schermi e non (il suo attivismo pacifista e l’appoggio alle Black Panthers fecero sì che la National Security Agency creasse un dossier su di lui; nel 2008, il suo appoggio per Obama trovò voce regolare in un blog per l’Huffington Post.)

L’invasione degli ultracorpi, Quella sporca dozzina, Mash, Animal House, Una squillo per l’ispettore Klute, A Venezia un dicembre rosso shocking, sono alcuni dei suoi film più leggendari di quagli anni, emblematici delle fratture e delle inquietudini che agitavano l’America dei Sixties e dei Seventies, come della sintonia naturale che Sutherland manifestava per gli autori più indocili della Hollywood liberal – Robert Aldrich, Robert Altman, Alan Pakula e John Landis.

Più di Redford e Beatty, è sempre stato associato allo spirito dell’America dei Sixties

DALL’ALTRA PARTE dell’oceano, dove Sutherland aveva girato, ben prima di Quella sporca dozzina, il polpettone bellico I guerrieri, e degli horror italiani di serie B, Bertolucci e Fellini presero nota del suo erotismo spigoloso e ambiguo scritturandolo in Novecento e Casanova.

«Lavorare per quei grandi era come innamorarsi. Io ero il loro amante, e il loro amato» , dichiarò Sutherland parlando dei registi di quell’era.

Donald Sutherland testimonial di una campagna del manifesto, foto di Luca Celada

E, alla domanda su quale fosse il favorito, posta dal quotidiano Newsday, nel 1976: «Lavorare con Fellini è stata l’esperienza migliore della mia vita. Per un attore, non c’è nessuno come lui. Più che a chiunque altro, uno si sottomette a Fellini. Lui è il maestro. E tu lo servi».

Indocile è anche l’andamento della sua carriera, fatta di oltre 200 titoli, tra cinema e tv. Tra cui, saltando negli anni e tra i nei generi (cosa che amava fare, e che, in tarda età lo trasformò in uno splendido, regale, caratterista) basta citare JFK, Fuoco assassino, Sei gradi di separazione, Orgoglio e pregiudizio, Space Cowboys e Ad Astra.