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Addio a don Di Piazza, il prete che accoglieva gli ultimi

Addio a don Di Piazza, il prete che accoglieva gli ultimi

Il parroco di Zugliano fondatore del Centro «Ernesto Balducci» Don Luigi Ciotti: «Non cercatelo tra i morti, ma nel volto di chi non ha voce»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 19 maggio 2022

E’ tornato nella sua Tualis, nella Carnia con le case di pietra e legno, i tetti spioventi e le tradizioni popolari ancora vive. Il monte Zoncolan che guarda la valle e la piccola chiesa con le statue e gli ex voto. E’ tornato a casa don Pierluigi Di Piazza, nel cimitero del suo paese, accompagnato dalle migliaia che gli si sono strette attorno, dal ricordo commosso dei tanti che lo hanno conosciuto e che con lui hanno condiviso la strada impervia dei Costruttori di Pace. «Non cercatelo nella terra» ha detto don Luigi Ciotti durante la messa in suffragio officiata a Zugliano nel Centro «Ernesto Balducci» che Di Piazza aveva fondato trent’anni fa. «Non cerchiamolo tra i morti, continuiamo a cercarlo tra i vivi: nei volti dei migranti, dei senza voce, perché non avrebbe senso sperare nella resurrezione eterna se qui, nel mondo, non siamo capaci di far risorgere gli ultimi».

Nel 1989 don Di Piazza, da poco parroco a Zugliano, aveva pensato di aprire una parte della sua casa agli esuli della guerra dei Balcani che avevano bisogno di un tetto; ragionando con i suoi parrocchiani assieme avevano deciso e da allora quel portone aperto ha accolto i più fragili, siano migranti o disabili. Negli anni gli spazi si sono allargati ed il Centro è diventato presto un punto di riferimento conosciuto in tutto il mondo. Anche perché Pierluigi, ché così si presentava ed era conosciuto, non era soltanto accoglienza, era anche un grande diffusore di cultura: innumerevoli i momenti di riflessione ed i convegni organizzati con i maggiori testimoni del nostro tempo come l’incontro con il Dalai Lama o il Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel. La lettera di Natale che ogni anno scriveva con una ventina di altri preti della Regione, le tante pubblicazioni e i libri, bellissimo quello scritto a quattro mani con Margherita Hack («Io credo. Dialogo tra un’atea e un prete»). Il Vangelo, la Costituzione e tre parole a dare la traccia: pace, giustizia, accoglienza. Pace come disarmo che lo portava, ogni anno, a manifestare davanti alla base americana di Aviano; accoglienza come impegno quotidiano ma anche come discrimine umano e politico quando scandiva: «Non osi chiamarsi cristiano chi fa propaga di razzismo e fascismo!».

C’è il microfono aperto nella sala dopo la messa a Zugliano: saluti, ricordi, promesse per un nuovo impegno. Il coro della parrocchia a intercalare le parole con canti dolci e malinconici, e anche «Bella Ciao» mentre in sala, nel parco, dentro la chiesa dove sono stati allestiti maxi-schermi, in centinaia battono le mani a tempo tra un sorriso ed una lacrima. Toccanti le parole che il teologo Vito Mancuso ha scritto in ricordo di un «amico amatissimo»: «Sapete, Lui era così: sospettoso perché innamorato. Il grande amore per il Bene e la Giustizia lo portava a guardare il mondo e il potere e i potenti in questo modo, come a smascherare l’ipocrisia. Ma a tu per tu Pierluigi era di una dolcezza e di una delicatezza uniche. Gentile e vero. Rude e delicato». Un cordoglio il cui eco risuona in tante parti del mondo, le sue amate tribù latinoamericane con la quena di quel ragazzo andino che suona la colonna sonora di «Mission» o quel «Grazie per la tua smisurata preghiera» che arriva dai ragazzi genovesi di don Gallo.

A Zugliano e poi al cimitero di Tualis: fiori e biglietti e gente ancora a centinaia, sembra che il popolo del Friuli sia tutto raccolto attorno a questa «chiesa fuori dal tempio». Fai buon viaggio, continua ad indicarci la strada, un sussurro o il silenzio di una preghiera. «Mandi Pierluigi, graciis di dut», ciao Pierluigi e grazie di tutto.

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