Visioni

«Adagio», la sinfonia visiva di Sollima nella Roma dei cattivi

«Adagio», la sinfonia visiva di Sollima nella Roma dei cattiviUna scena da Adagio

Al cinema Un ritorno a casa per il regista, dopo le esperienze internazionali, sull’orma dei suoi film e serie crime. Protagonisti Valerio Mastandrea, Toni Servillo, Pierfrancesco Favino, Adriano Giannini

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 14 dicembre 2023

Manuel è un ragazzetto di sedici anni, accudisce il padre Daytona, un vecchio arnese della mala romana col cervello ormai in pappa, e come tutti gli adolescenti crede di saperla lunga. Anche quando è costretto a fare qualcosa sotto ricatto. Eccolo quindi varcare l’imponente portone di un esclusivo palazzo romano per entrare in un mondo dove trionfa la festa nella massima trasgressione possibile e impossibile. Deve solo fare qualche ripresa clandestina e documentare quel che succede, così il ricatto non sarà più rivolto a lui, bensì a una figura di spicco: il potente patrono della festa.
Solo il ragazzo, che sente puzza di bruciato, cerca di scappare dal palazzo e da chi lo tiene sotto stretto controllo. Ora è braccato. E si rivolge per aiuto a Polniuman, vecchio sodale del babbo, che poi ne coinvolge anche un altro, Cammello, malato terminale. Sullo sfondo Roma brucia e i blackout imperversano. Questo è il clima esasperato e una volta tanto davvero adrenalinico e a tratti imprevedibile in cui Stefano Sollima mette in scena la sua storia.

UN RITORNO a casa, in qualche modo sulle orme dei suoi precedenti «criminali», ma anche forte di diverse serie di respiro internazionale di successo sempre da efferata malavita organizzata raccontate con notevole talento lavoro dopo lavoro. Così, dopo un avvio che sembra ricalcare altri film che si sono cimentati con le prepotenti feste romane sopra le righe, Sollima prende velocemente una strada laterale, oscura e sorprendente, dimentica la città cartolina, inquadra l’inquietudine e lo scorrere del tempo e delle vite come se non ci fosse bisogno di altre notazioni per fare spessore e profondità.
Si affida a tre mostri sacri del nostro cinema, ma li stravolge opportunamente consentendo loro di costruire tre personaggi in qualche modo indimenticabili. Il cieco Polniuman è Valerio Mastandrea, straordinario nel reggere il confronto con lo sciroccato quasi bipolare Daytona cui dà vita Tony Servillo e l’inedito sorprendente Cammello di Pierfrancesco Favino. Tra questi mostri sacri si aggira il giovane Gianmarco Franchini e viene trascinato a esprimere il meglio anche Adriano Giannini.

SPESSO si sente dire che la nostra produzione nazionale ha perso la capacità di affrontare il cinema di genere. Probabilmente Sollima non si lascia fuorviare dai luoghi comuni, la sua passione è il racconto per immagini, il thriller, le storie di cattivi davvero cattivi e su questi personaggi orchestra la sua sinfonia visiva, anzi il suo «adagio» musicale, per dirla con la Treccani «un tempo sufficientemente calmo per permettere all’istrumentista le fioriture che fantasia e tecnica gli suggerivano».

E il risultato di questo Adagio è stupefacente perché tecnica e fantasia, con il supporto degli attori-istrumentisti riescono a far alzare il livello portando il racconto del film a raggiungere notevoli vette emozionali, a riprova del fatto che quel che conta è il cinema e non le etichette che troppo spesso appiccichiamo con superficialità.

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