Ada D’Adamo, lo Strega politico che parla del dolore della cura
Editoria Il premio, postumo, all’autrice di «Come d’aria», edito da Elliot, scomparsa il 1 aprile di quest’anno. Nel romanzo, il racconto di sé e di sua figlia Daria affetta da una grave patologia cerebrale
Editoria Il premio, postumo, all’autrice di «Come d’aria», edito da Elliot, scomparsa il 1 aprile di quest’anno. Nel romanzo, il racconto di sé e di sua figlia Daria affetta da una grave patologia cerebrale
La vittoria di Ada D’Adamo e del suo romanzo Come d’aria (edizioni Elliot, pp. 144, euro 15) alla settantasettesima edizione dello Strega è stata una sorpresa e non perché il riconoscimento arriva postumo: nella storia del premio era già avvenuto nel 1959, quando ad aggiudicarselo era stato Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa e nel 1995 con la vittoria del romanzo Passaggio in ombra di Mariateresa Di Lascia, scomparsa a settembre del 1994.
STUPISCE, invece, che abbia vinto con 185 voti il romanzo di una casa editrice indipendente che non aveva mai partecipato prima d’ora alla competizione e che ha deciso di pubblicare questo testo dopo che il manoscritto era stato rifiutato varie volte da altri editori.
Colpisce poi che ad averlo scritto sia stata un’esordiente: Ada D’Adamo era una ballerina, una coreografa, una studiosa di danza ma questo romanzo è il suo esordio, la sua testimonianza, ciò che si è rivelato essere il suo testamento. Sorprende, infine, che i pronostici che davano per certa la vittoria di Rosella Postorino con Mi limitavo ad amare te (Feltrinelli), aggiudicatosi il secondo posto con 170 voti, si siano rivelati sbagliati nonostante la qualità del romanzo e la tematica che affronta, di grande attualità: la guerra nei Balcani.
Eppure, chi ha letto Come d’aria ha sempre saputo che aveva tutte le potenzialità per aggiudicarsi il premio, per sovvertire il sistema e riscrivere le regole del gioco. Il testo di D’Adamo è, come ha ripetuto varie volte la giornalista Elena Stancanelli che lo ha proposto per la candidatura allo Strega, un testo politico.
Raccontando di sé e di sua figlia Daria affetta da oloprosencefalia, una patologia cerebrale gravissima che di norma viene diagnosticata nella prima fase della gravidanza quando si può ricorrere all’aborto terapeutico, D’Adamo racconta la verità sulla cura. Lo fa esprimendo con forza, chiarezza e poesia quanto la cura sia una maledizione di fatica, di impossibilità e un’esperienza d’amore illimitato, dicendo quindi del connubio impossibile tra il desiderio di liberarsi di tale fardello e quello di garantire la miglior vita possibile alla persona malata.
In una lettera che D’Adamo aveva scritto al giornale La Stampa nel 2008 citata nel romanzo, la scrittrice aveva dichiarato apertamente che se le avessero diagnosticato in tempo, come sarebbe dovuto accadere, la patologia di cui il feto che portava in grembo era affetto, avrebbe abortito. Lo scrive dichiarando al contempo l’amore per sua figlia.
IN QUESTO SOPRATTUTTO risiede l’aspetto politico del romanzo: nella volontà e nel coraggio di esprimere il dolore e il rifiuto di chi si deve prendere cura dell’altro e dell’altra, mostrando che tale rifiuto non è sintomo di pochezza o malignità, è invece componente ineludibile della verità della cura, dell’umanità di chi, come Ada D’Adamo per esempio, si è sentita disperata e furiosa di fronte ai pianti incoercibili di Daria.
Quando è nata, infatti, nessuno ha spiegato a lei e suo marito che a causa della patologia avrebbe pianto ininterrottamente e in modo inconsolabile per mesi, anni. Come d’aria è quindi un testo politico anche perché vi si legge a chiare lettere della solitudine della cura: «avere un figlio disabile significa essere soli. Irrimediabilmente, definitivamente soli». E questo abbandono è lo stesso di cui scrive Marco Annicchiarico in I cura cari (Einaudi, pp. 248, euro 17) nella sua testimonianza come caregiver della madre malata di Alzheimer.
D’Adamo però non ha vinto solo perché dice la verità, seppur questo basterebbe eccome, ha vinto anche perché nella ricerca che ha fatto per scovarla attraverso la scrittura ha incontrato e condiviso bellezza. Nelle pagine sulla sua malattia, un cancro al seno, e sulla guerra che ha combattuto ogni giorno per vincere il disgusto, la reticenza, l’indifferenza riservate a Daria, le parole che lei sceglie sono belle, la sua lingua lo è.
Infine, nel dibattito a volte anche superficiale sul proliferare delle autofiction o più in generale dei racconti autobiografici nella letteratura contemporanea, di rado si riflette sulle conseguenze di tale tendenza e cioè che per contrasto, nel tentativo di ribellarsi a questo genere così controverso, vengono raccontate storie in cui la distanza tra chi le scrive e la materia trattata è siderale, perché non viene colmata con l’immaginazione del cuore, parafrasando Pascal. Tra l’io ipertrofico della narrativa contemporanea e l’impersonalità di una voce narrante che si autocondanna all’assenza esistono variabili impreviste.
IL PUNTO DI VISTA di Ada D’Adamo, il racconto minuzioso e realistico della sua vita che sa diventare anche una voce universale che interroga la morte e conosce l’amore di cui racconta, ne è un esempio. Per questo la sua vittoria, a ben pensarci, più che sorprendente, è giusta.
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