«Un esperimento: realizzare un film sul concetto del sacro». Con queste parole Irene Dorigotti, antropologa visiva, definisce Across. Un esperimento ibrido con il quale la filmmaker compie un viaggio, fisico e interiore, nella ricerca di sé. Un on the road in prima persona e in campo, camminando, molto spesso di spalle, «per comprendere visioni del mondo distanti dalla mia», lei «formata» dai genitori alla cultura da scout quando era bambina.

Si mette in marcia, Dorigotti, da Torino a Matera, dalla Sicilia alla Svizzera, dalla Sardegna al Messico, dal Vietnam alla Cambogia, per deserti e mari – l’acqua è elemento ricorrente – , incontri e erranze, raduni religiosi (ma il film di-segna il suo percorso di vicinanza e allontanamento dalle forme canoniche della religione per far emergere la spiritualità). Il suo passato – insieme a quello della famiglia evocata nell’uso pertinente degli home movies, e nel ricordo del nonno che fondò la prima agenzia di viaggi italiana -, con cui confrontarsi, le è letteralmente cucito addosso, essendo la tenuta da scout il look scelto per questa investigazione intima a indicare la (sua) memoria di un prima e il (suo) presente fatto di domande e ri-posizionamenti.

UN’INVESTIGAZIONE che, nella forma, assume un procedere «slabbrato», visionario (film «interpretato e sognato, scritto e diretto da Irene Dorigotti», si legge sui titoli di coda), non sequenziale, nel segno di un costante «andare avanti», spostarsi e sostare fino a quando le varie parti del mondo «svaniscono» in un «unico» set senza confini. C’è una sperimentazione apolide in Across – attualmente in tour nelle sale con la regista, stasera a Pordenone, per tutte le date consultare il profilo facebook della produzione Start – mentre la voce off è quella di un «Dio stanco», così si presenta verso la fine «lasciando» la regista/protagonista.

Con camera a mano dalle diverse andature, abitato anche da brevi inserti disegnati/animati, il film porta in primo piano, fin dal titolo (perfetto nel significare attraversamenti passati e presenti), con stili variabili e talvolta conflittuali, il corpo di una giovane donna nel suo essere sempre prossimo alle cose che accadono, ai luoghi e alle persone filmate, esprimendo la sua con-fusione, il suo dis-orientamento, la sua inquietudine nel trovare, oggi, un suo posto sulla terra. Fino a spogliarsi, nella scena finale di memoria ferreriana, del suo completo da scout e entrare nuda nell’acqua di un mare aperto, che cancella e ri-avvia, dentro il quale inoltrarsi.