Acqua buona per la Palestina
Storie Dove le riserve idriche sono una questione di sopravvivenza, un progetto dell’università di Sassari finanziato dalla Ue punta sulle acque reflue
Storie Dove le riserve idriche sono una questione di sopravvivenza, un progetto dell’università di Sassari finanziato dalla Ue punta sulle acque reflue
Ziad Abdul Jalil è un contadino di 35 anni. Vive con moglie e sei figli nel villaggio di Beit Dajan, in Cisgiordania, a est di Nablus. Pur tra mille difficoltà, Jalil conduce una vita dignitosa, e vorrebbe ampliare e diversificare le colture: «Vorrei piantare oltre un ettaro di limoni, ma è davvero difficile per tutti noi progettare qualunque investimento qui in Cisgiordania: l’acqua è, letteralmente, una questione di vita o di morte».
L’ACCESSO, LA DISTRIBUZIONE e i consumi idrici fra Israele e i territori palestinesi occupati riflettono immense disuguaglianze, con Israele che attualmente controlla circa l’80% delle riserve idriche in Cisgiordania. Palestina e Israele condividono tre bacini acquiferi che attraversano la Cisgiordania, con Israele che copre circa il 60% dell’approvvigionamento da questi bacini. I palestinesi hanno accesso a circa 70 litri di acqua pro capite al giorno, mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità stabilisce un minimo di 100 litri. Alcune comunità sopravvivono addirittura con appena 20 litri pro capite.
MOLTI DEI PALESTINESI CHE VIVONO nella cosiddetta Area C e nelle aree rurali non hanno alcun collegamento con le reti idriche ufficiali e quindi sono costretti ad acquistare l’acqua per soddisfare i bisogni fondamentali, con l’aggravio di insostenibili oneri finanziari. Per il Palestinian Central Bureau of Statistics (Pcbs), Israele consuma sette volte la quantità d’acqua utilizzata dalla Palestina. L’eccessivo controllo di Israele sulle risorse idriche palestinesi ha effetti negativi su tutti gli aspetti della vita quotidiana. La mancanza di una gestione efficace, le disparità economiche e la mancanza di infrastrutture hanno inoltre portato all’inquinamento e spesso all’esaurimento della risorsa: i coloni israeliani sono i maggiori produttori pro capite di acque reflue in Cisgiordania, grandi quantità delle quali vengono scaricate direttamente nell’ambiente circostante, contaminando la terra adiacente e i corsi d’acqua utilizzati dai palestinesi.
PROPRIO QUELLA DELLE ACQUE REFLUE è una delle chiavi per mitigare i difficili nodi politici della governance dell’acqua. Accanto all’incremento delle capacità di accumulo e all’efficientamento dei sistemi di distribuzione, è il cosiddetto «uso di acque non convenzionali» a poter dare un contributo importante nel ridurre la pressione sui corpi idrici. Il riutilizzo delle acque reflue è stato indicato come una delle priorità nella politica europea e di cooperazione internazionale sulle acque, e nel maggio scorso è stato adottato dal Parlamento e dal Consiglio Europeo un regolamento recante le prescrizioni minime per il riutilizzo dell’acqua a fini irrigui in agricoltura.
IN TALE AMBITO, IL NUCLEO DI RICERCA sulla Desertificazione dell’Università di Sassari conduce il progetto Menawara (enicbcmed.eu/projects/menawara), sostenuto dall’Unione Europea tramite il programma Eni Cbcmed, che finanzia il 90% dei circa 3 milioni di euro complessivi. Fra i partner internazionali (Ciheam di Bari, Narc Giordania, Onas Tunisia, Centa Spagna) c’è anche l’onlus Weworld-Gvc, che appunto a Beit Dajan sta lavorando per migliorare la qualità delle acque reflue che fuoriescono dal grande impianto di trattamento realizzato nell’ultimo decennio grazie, anche in questo caso, ai finanziamenti dell’Unione Europea.
IL RIUSO DELLE ACQUE REFLUE PERMETTE di ridurre i prelievi da falda, riducendo la salinizzazione delle acque sotterranee provocata dal sovrasfruttamento degli acquiferi costieri, con conseguente intrusione marina negli stessi. L’irrigazione con acque reflue trattate, ricche di sostanze nutritive, permettono la riduzione dei fertilizzanti distribuiti alle colture contribuendo positivamente alla qualità dei corpi idrici superficiali e delle acque costiere, limitando così la diffusione di contaminanti ad alto impatto ambientale e diminuendo il fenomeno della eutrofizzazione.
NEL PIU’ AMPIO CONTESTO di sostenibilità ambientale, di pianificazione dell’uso del territorio e di difesa del suolo, obiettivo di Menawara è di migliorare sia l’accesso delle aziende agricole a risorse idriche alternative in territori in cui la scarsità di acqua rappresenta una sfida comune, sia la qualità dei reflui trattati dagli impianti di depurazione. Essenziale per il successo del progetto è il coinvolgimento di piccole aziende agricole, che riutilizzeranno le acque trattate dagli impianti e quelle di drenaggio per l’irrigazione di circa 45 ettari di oliveti, foraggere, alberi da frutto e piante ornamentali.
BENCHE’ IL PROGETTO ABBIA, a prima vista, un carattere prettamente tecnico, uno degli obiettivi di Menawara è coinvolgere, sin dalle prime fasi, la popolazione residente nelle aree in cui saranno installati gli impianti pilota, perché i risultati di progetto possano essere condivisi, accettati e trasferiti alle comunità locali. Menawara si rivolge ad una platea di circa 4.200 potenziali utilizzatori che, grazie agli impianti pilota, potranno avere accesso a risorse idriche di maggiore qualità.
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