AcelorMittal, guerra in tribunale: aperta inchiesta a Taranto
Affonderia Per il premier Conte sarà la «battaglia legale del secolo». Di Maio: «Nessun piano B». Landini: ««Se il tavolo non ci sarà reagiremo»
Affonderia Per il premier Conte sarà la «battaglia legale del secolo». Di Maio: «Nessun piano B». Landini: ««Se il tavolo non ci sarà reagiremo»
L’esposto dei commissari straordinari dell’ex Ilva che denuncia ArcelorMittal ai sensi dell’art.499 del codice penale arriva di buon mattino e il procuratore Capristo apre immediatamente il fascicolo d’indagine, per ora «contro ignoti».
Si ipotizza il «grave nocumento alla produzione nazionale», realizzato tramite «distruzione di materie prime, prodotti industriali ovvero mezzi di produzione». È un ulteriore tassello nella strategia decisa in realtà dal governo, anche se le procure si muovono poi in piena autonomia.
LA BATTAGLIA ILVA è già una faccenda di carte bollate. Ci sono le iniziative della procura di Milano, che ha aperto a propria volta venerdì un fascicolo «esplorativo», cioè non solo contro ignoti ma al momento anche senza ipotesi di reato. C’è il ricorso cautelare e d’urgenza depositato venerdì dai legali dei commissari a Milano, che nega l’esistenza di condizioni che consentirebbero alla multinazionale la rescissione del contratto.
È la guerra in tribunale scelta dal governo, di fatto su indicazione del premier e dei 5S, centrata solo sulla battaglia legale. Il ministro dello Sviluppo Patuanelli «ringrazia» ufficialmente i commissari per l’esposto di ieri mattina. Di Maio, che i toni da proclama proprio non riesce ad abbandonarli neppure quando le circostanze li rendono imbarazzanti, ripete che «di piano B non si parla: trasciniamo la multinazionale in tribunale». Conte indossa la toga praticamente a tempo pieno, pronto alla «battaglia legale del secolo».
È UNA STRATEGIA ad alta resa mediatica, pensata anche per unificare il Paese contro la multinazionale fellona, ma di scarsissima efficacia pratica. Il reato ipotizzato a Taranto prevede alcune migliaia di euro di multa. Poca roba. Certo c’è anche la detenzione da 3 a 12 anni, ma l’ipotesi di spedire un commando in India a rapire i vertici Mittal pare poco realistica. La battaglia del secolo potrebbe in effetti costare ai franco-indiani una multa davvero salata, ma è questione di anni. L’effetto principale lo avrà il ricorso dei commissari che, data l’urgenza, dovrebbe essere discusso in meno di 15 giorni e dovrebbe permettere di non spegnere gli altiforni.
MITTAL INTENDE infatti lasciare l’acciaieria il 3 dicembre, lasciando però ai commissari l’obbligo di occuparsi dello spegnimento degli altiforni nelle date fissate, 13 e 30 dicembre, 15 gennaio. Ma anche se il ricorso impedirà una misura che di fatto significherebbe chiusura definitiva, l’altoforno 2 dovrà comunque essere spento il 13 dicembre, essendo questo l’ordine della Procura, salvo impossibile conclusione dei lavori di messa in sicurezza entro quella data.
La politica è di fatto immobile. Un nuovo incontro con ArcelorMittal non è stato chiesto. Il cdm che dovrebbe affrontare la faccenda non è stato convocato. I leader non vanno oltre la grancassa propagandistica. Gli unici a farsi sentire sono i sindacati. Hanno scritto sia a Conte che al presidente della Repubblica. Insistono perché il premier reclami un nuovo vertice con i massimi dirigenti indiani e stavolta chiedono di partecipare. Comunicati e dichiarazioni sono calibrati. Prendono di mira soprattutto la multinazionale che manca agli impegni presi, ma il vero obiettivo è il governo, che non si decide a varare lo scudo penale, rendendo così impossibile fare chiarezza. Lo scopo dei sindacati è stanare tanto la proprietà quando il governo. «Se il tavolo non ci sarà reagiremo», minaccia Landini.
CHE QUELLO DI MITTAL sia solo un alibi e che nella decisione di andarsene lo scudo sia solo un pretesto è probabilissimo. Difficile spiegarsi altrimenti l’acquisto per 6 mld, in joint venture con la giapponese Nippon Street, dell’acciaieria indiana Essar Steel, che produce 10 mln di tonnellate di acciaio contro i 6 fissati nel contratto per l’Ilva con 3.800 operai invece dei 10.700 di Taranto.
Ma il nodo irrisolto dello scudo penale complica e confonde. Offre un comodo riparo ai franco-indiani. Permette a tutti di non mettere le carte in tavola e devia su quel binario probabilmente morto il confronto politico che, se ci fosse chiarezza, si concentrerebbe invece sul che fare dopo la quasi certa dipartita della multinazionale. Su quel fronte le tenebre sono dense. Ci sarà un nuovo commissario, probabilmente uno che di acciaio ne capisca. Si aspetterà l’avvento di un socio, magari con la Cdp disposta, Europa permettendo, a entrare in gioco con capitali sonanti. Ma se il sogno si rivelerà un miraggio l’Ilva diventerà una nuova Alitalia. Moltiplicata per 100.
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