Fin dal nuovissimo attacco della prima sinfonia, un accordo dissonante, si è capito dove Daniele Gatti volesse portarci. La prima sinfonia di Beethoven è già una rottura con la tradizione: ne fa tesoro, imposta la costruzione sui principi che sono quelli di Haydn e di Mozart – compositori non solo a lui contemporanei, ma i più «nuovi» – e li rinnova dall’interno. Avviando la gigantesca impresa di dirigere, in quattro concerti, per l’Accademia di Santa Cecilia, tutte e nove le sinfonie di Beethoven, Gatti imposta, da subito, l’interpretazione sulla novità della scrittura beethoveniana: basterebbe l’idea di cominciare una sinfonia con una dissonanza e la coerenza ritmica che la percorre.
Primo e ultimo tempo si rispecchiano. Il minuetto non è più tale, è già un scherzo di furibonda eccitazione ritmica. Sebbene alcuni temi possano ricordare Haydn o Mozart, il clima è totalmente cambiato. Il canto si espande quasi a gola spiegata. Gatti gioca molto sul fraseggio. Le frasi cominciano con un respiro sommesso, toccano un apice intenso e muoiono infine in un sospiro. Ma dove si compie un vero miracolo interpretativo è con la quarta sinfonia. Qui il nuovo mondo è ormai toccato. Incredibile il numero di capolavori ai quali Beethoven stava allora lavorando: la quinta e sesta sinfonia, il quarto concerto per pianoforte, il concerto per violino, i quartetti op. 59, le sonate Aurora e Appassionata. Tutto simultaneamente, nello spazio di due o tre anni.
La quarta sinfonia costituisce, insieme alla quinta e alla sesta, una sorta di trilogia votata alla trasformazione della musica in pensiero, che rispecchia una realtà altrimenti conosciuta solo tramite le parole del filosofo o dello scienziato. Sta qui la novità: la musica è essa stessa pensiero: dell’armonia del mondo, nella quarta; della tensione e della sofferenza umana in cerca di una risposta gioiosa nella quinta; del rapporto tra l’uomo e la natura nella sesta.

ECCO ALLORA che la quarta e la quinta non sono sinfonie opposte, una della serenità e l’altra del tormento, ma complementari: rispecchiano la complessità appena intravedibile, o intravista solo dalla musica, del mondo. Si è sentita tante volte la quinta. Ma Gatti v’imprime una coerenza di pensiero che, immediatamente intellegibile, fa venire i brividi. Un’unica idea la percorre dall’inizio alla fine e fa nascere un mondo variopinto. Nei prossimi tre concerti, fino al 27 giugno, le altre sei sinfonie.