Il siparietto che apre l’edizione 2022 del Teatro Povero di Monticchiello, la numero 56, segna uno spartiacque nel lungo, glorioso percorso di questa narrazione «autodrammatica», legata al territorio e ai suoi abitanti. Perché nell’individuare quel grumo di episodi che si muovono fra le speranze di ieri e le sconfitte di oggi, la civiltà contadina e la terra bruciata del consumismo, che del Teatro Povero è l’impalcatura, si finisce dalla parte dei Fratelli Marx. Comunisti da un lato e democristiani dall’altro. Confronto epocale. In questo spicchio di Valdorcia, all’ombra della Guerra fredda, è come se si giocassero le sorti del mondo. Favoriti dell’esilarante ping pong, che sorride a Peppone e Don Camillo, sono gli orfani di Stalin (siamo nel 1956, l’Urss sta per invadere l’Ungheria) perché primi e al momento unici in paese, hanno il telefono: come dire possono sapere cosa succede e cosa fare.

SULL’ALTRO LATO della barricata (e dello schermo), prete e prefetto in testa, agli scudo crociati non resta che prendere atto dell’inferiorità nei confronti dei diavoli rossi. Sarà uno squillo ostinato, che rimbalza lontano dai Marx a «C’era una volta in America», a smarginare il racconto di questa Ultima chiamata messa a punto da Manfredi Rutelli e Gianpiero Giglioni, titolo minaccioso dal vago sapore apocalittico, che poi si disperde nella trame di una contemporaneità fuori controllo, fra emergenze ecologiche, conflitti non più freddi, decrescita imposta dall’alto pena l’oscuramento globale. Alla fine come i ragazzini della Morante saranno le donne a salvare il mondo? Che nel 56 volevano la pace e la reclamano anche oggi. «Le donne di Monticchiello vogliono la terra e non la guerra» si legge sulla vecchia bandiera, miracolosamente riapparsa dopo tanto oblio, dimenticata in una valigia. Le donne e non la gente di Monticchiello. Legittimo crederci. Ancora fino al 14 agosto. Info 0578 755118.