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Abusi del clero irlandese sepolti nella psiche sociale

Abusi del clero irlandese sepolti nella psiche socialeRobert Ballagh, The 1,500 victim, 1972

Narrativa irlandese Romanzo inusuale nel canone di Roddy Doyle, «Smile», tradotto da Guanda, sembra segnalare una virata pessimistica e rassegnata nella parabola dello scrittore, che abbandona i suoi eroi capaci di guadagnare la ribalta con l’ottimismo dei reietti

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 15 aprile 2018

«Si era nascosto dietro la tenda. Quello fu il mio primo pensiero. Avevo lasciato la luce spenta, ma la candela era ancora accesa. Non riuscivo a vederlo. Non l’avevo visto. Me l’ero immaginato. Tutte quelle parole però. Le avevo sentite, e lo vidi. Era proprio davanti a me e con il pugno – un pugno enorme – mi colpì in pieno viso». Tratte dal finale di Smile, ultimo romanzo dell’irlandese Roddy Doyle (traduzione di Stefania de Franco, Guanda, pp. 235, euro 18,00), queste parole sembrano rievocare il famoso nascondiglio di Polonio dietro l’arazzo, anche se diversamente da quanto accade nell’Amleto, qui è il personaggio in ombra a sferrare l’attacco. L’ombra – si scoprirà – appartiene all’inconscio, un abisso perturbante di paure represse che riemergono inaspettate, quasi a voler colorare di tragedia quella che si presentava, fin dal titolo, come una commedia. Smile promette levità, ma ci consegna una disperazione sottile, ineluttabile sin dalle prime righe del libro.

Un rimosso collettivo
A partire dalla sua nota trilogia di Barrytown, imperniata su The Committments, opera fortunata anche grazie alla resa cinematografica di Alan Parker, Roddy Doyle si è guadagnato un posto di rilievo all’interno del canone seriocomico del romanzesco, abituandoci a storie che sanno essere amare e sbeffeggianti al tempo stesso. La sua è una linea di leggerezza sempre sull’orlo del tragico, implicita anche in uno dei suoi libri più fortunati in Italia, Paddy Clark ha ha ha, in cui il compito di resistere alle difficoltà dell’esistenza era affidato a un bambino. Ma con Smile – un romanzo fatto quasi esclusivamente di dialoghi – il paradigma viene quasi rovesciato: ci sono, è vero, intervalli di pura comicità, come la descrizione magistrale di una scena in cui il protagonista viene invitato a pranzo dai genitori della fidanzata, ma non oltrepassano le dieci pagine. A fare da sfondo non è più l’Irlanda un po’ ribelle e sottoproletaria dei primi libri di Doyle, con quegli scenari vagamente distopici su cui si proiettavano eventi normalissimi eppure straordinari, bensì lo scandalo degli abusi sessuali perpetrati per decenni ai danni di bambini e adolescenti da parte di membri del clero, che costrinsero lo Stato, agli inizi del nuovo millennio, a rimborsi e compensazioni così ingenti da sfiorare la bancarotta.

Furono centinaia i casi, scoperti e regolarmente sanzionati, di solito consumati in scuole periferiche, o in istituzioni per la rieducazione giovanile, tutti gestiti dalla Chiesa. Ma nel romanzo di Dyle la memoria degli abusi appartiene al rimosso, influenza subliminalmente ogni scarto narrativo del protagonista, senza emergere in tutta la sua forza oscura se non verso la fine, in una notte affollata dai fantasmi di un passato in cui si tarda a riconoscere il proprio presente, e l’ineludibile futuro.
Solo in minima parte il centro della scena è occupata dalla questione degli abusi: Roddy Doyle segue piuttosto altri percorsi, legati alla notorietà mediatica dei personaggi principali, al rito quotidiano delle brillanti o annoiate conversazioni da pub, alla reminiscenza casuale di periodi andati, come i lontani anni trascorsi in scuole gestite dai preti.

Romanzo inusuale all’interno dello stesso canone personale di Doyle, Smile sembra voler segnalare ai lettori e ai critici che la parabola narrativa dello scrittore irlandese ha mutato direzione. Non è più tempo per eroi scanzonati che, forti dell’ottimismo dei reietti, possono con un po’ di fortuna proiettarsi alla luce della ribalta e infiltrarsi in una società asfittica per ravvivarla. C’è in Smile una nota di rassegnazione, di pessimismo, legata forse anche agli stravolgimenti economici e sociali di un paese le cui dinamiche politiche, religiose, ideologiche, hanno subito un vero terremoto negli ultimi trent’anni.

Sulle sorti del fare letterario
L’Irlanda che la letteratura delle generazioni recenti ci ha consegnato è connotata a un tempo da forti contrasti e da innegabili energie vitali, che si riversano in tutti i campi artistici; ma resta una terra di privazioni, di ambizioni frustrate e di una repressione che gli scrittori sono stati in grado di percepire e filtrare attraverso le loro storie a metà tra il riso e la disperazione.
Roddy Doyle rappresenta ormai la vecchia guardia: ha dato il via a un tipo di narrazione che era sì cinematografica, ma anche introspettiva, abile nel rimescolare scenari di emarginazione e spinte individuali alla sovversione. Con questo ultimo romanzo, invece, pare riflettere non solo e non tanto sulla propria opera, ovvero su quel filone narrativo inaugurale del moderno romanzo eroicomico e sul suo subentrato, necessario, abbandono, ma anche sugli esiti di una narrativa forse troppo compromessa con il mercato, che ci ha consegnato per molti anni storie e eroi simili, su uno sfondo quasi museificato.

Con Smile Roddy Doyle prova, non sempre riuscendoci, a riflettere sulle amare sorti di un fare letterario che ripete se stesso, riproponendo sempre il medesimo canovaccio a uso hollywoodiano: può farlo perché ha il coraggio del veterano, anche se proprio perciò legittimava a aspettarsi qualcosa di più.

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