Abusati e schiavizzati: la vita dei bambini siriani in Turchia
Rifugiati L'80% di loro non va più a scuola, migliaia lavorano in nero per 12 ore al giorno e una paga da fame. Scoperte violenze sessuali nel campo profughi di Nizip, apice di violenze strutturali contro donne e minori in fuga
Rifugiati L'80% di loro non va più a scuola, migliaia lavorano in nero per 12 ore al giorno e una paga da fame. Scoperte violenze sessuali nel campo profughi di Nizip, apice di violenze strutturali contro donne e minori in fuga
Dodici ore al giorno, 6 giorni su 7, 160 dollari di paga al mese con un corollario di abusi da parte dei proprietari delle fabbriche di cuoio. È la Turchia “paese sicuro” agli occhi di migliaia di bambini, rifugiati siriani.
Le storie raccolte negli ultimi mesi disegnano un quadro di sfruttamento peggiore di quello subito dagli adulti. Se per sopravvivere fuori dai campi profughi gli uomini accettano lavori sottopagati e le donne siedono agli angoli delle strade a chiedere elemosina ai passanti, quello dei bambini è un dramma ancora più terribile.
La metà dei 2,8 milioni di profughi siriani in Turchia, secondo l’Unicef, sono minorenni. Di questi oltre l’80% non va più a scuola.
Moltissimi finiscono dentro fabbriche di scarpe, borse, vestiti. Hanno 13-14 anni, a volte di meno, e tentano di sostenere i genitori: secondo una ricerca di Hayata Destek, ong turca, il 60% delle famiglie siriane a Istanbul ha a disposizione tra i 150 e i 500 euro al mese, miseria dovuta all’impossibilità di trovare un lavoro stabile e a contratto (ai profughi siriani è vietato ottenere un visto di lavoro).
E così i figli vanno a lavorare: secondo la stessa ong, in molte famiglie i minori sono gli unici a portare soldi a casa. «Non c’è lavoro per gli adulti – spiega Sezen Yalcin, responsabile del programma per minori di Hayata Destek – Gli adulti sono meno vulnerabili e i datori di lavoro vogliono giovani da poter sfruttare con facilità».
A febbraio nello scandalo del lavoro minorile in Turchia erano finiti giganti europei, i britannici H&M e Next. Le due compagnie avevano rivelato che le fabbriche locali da cui si rifornivano impiegavano minori siriani. Una galassia ben più ampia, ma occulta che lega a doppio filo la fortezza Europa al suo cane da guardia, Ankara: tante altre aziende non hanno risposto alle legittime domande sull’impiego di rifugiati; altre hanno negato, come Nike, Puma e Adidas.
Sullo sfondo resta un paese indolente, che non investe nella tutela dei siriani in fuga da una guerra che ha alimentato e che ottiene come premio 6 miliardi di euro da Bruxelles, purché se li tenga.
E gli abusi si moltiplicano, che siano sfruttamento del lavoro, pestaggi della polizia, abusi contro le donne e i bambini.
Ieri è stata pubblicata la notizia di 30 minorenni, tra gli 8 e i 12 anni, violentati da un pedofilo nel campo profughi di Nizip, a Gaziantep, a cui la cancelliera Merkel aveva fatto visita il 23 aprile.
Si tratta di un addetto alle pulizie, E. E. di 29 anni, che avrebbe confessato: per tre mesi ha offerto loro qualche lira turca per abusarne nei bagni della struttura che ospita 14mila siriani. Ora rischia pene cumulative per un totale di 289 anni di prigione.
A gennaio era stata Amnesty in un dettagliato rapporto a denunciare le violenze subite dalle donne: abusi, stupri, sfruttamento da parte di chi dovrebbe accoglierle, poliziotti, guardie di frontiera, addetti ai campi, dalla Turchia all’Europa, nei campi profughi e nei lunghi viaggi verso una nuova vita.
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