«Non prevedo un discorso standard, come quelli degli anni passati, però non mi aspetto attacchi diretti a determinati leader arabi. Il presidente Abu Mazen criticherà la normalizzazione tra alcuni paesi arabi con Israele, grazie alla mediazione degli Usa, ma in termini generali». Mukraim Abu Saada, analista e docente di scienze politiche all’Università al Azhar di Gaza, è uno dei pochi a sbilanciarci sui possibili contenuti del discorso che il leader dell’Autorità Nazionale (Anp) Abu Mazen pronuncerà oggi, in video conferenza, all’assemblea annuale delle Nazioni unite. «Il presidente dell’Anp non cercherà lo scontro frontale – spiega Abu Saada – perché sa che aprirebbe una frattura insanabile con una parte importante del mondo arabo. Allo stesso tempo non potrà mostrarsi troppo moderato, proprio lui ha parlato di ‘pugnalata nella schiena’ quando Emirati e Bahrain hanno annunciato l’avvio di piene relazioni con Israele mentre i palestinesi restano sotto occupazione militare».

 

Dalla Muqata, il quartier generale dell’Anp a Ramallah, non trapela nulla. Tuttavia la previsione di Abu Saada è largamente condivisa. Abu Mazen non userà il fioretto ma neppure il cannone contro il «tradimento» di Abu Dhabi e Manama. In modo da non chiudere la porta alle donazioni delle ricche monarchie sunnite del Golfo nel momento più critico dal punto di vista finanziario – oltre che politico e diplomatico – che sta vivendo l’Anp. Le casse sono vuote e quei fondi arabi sono necessari come l’aria anche se a Ramallah sanno che rischiano di rivelarsi uno strumento di ricatto formidabile per costringere l’Anp (e l’Olp) ad accettare il piano Usa per il Medio oriente e a rinunciare a quello arabo del 2002 fondato sul principio «pace per la terra»: ritiro di Israele dai territori palestinesi che ha occupato nel 1967 in cambio della pace.

 

I segnali sono chiari. A cominciare dall’improvvisa diminuzione dei finanziamenti arabi all’Anp. Un taglio che assieme al taglio del 50% degli aiuti esteri ha portato a un calo totale delle entrate per Ramallah di circa il 70%. Nei primi sette mesi del 2020 l’Anp ha ricevuto circa 500 milioni di dollari in meno rispetto ai finanziamenti dall’estero nello stesso periodo del 2019. «Gli Stati arabi non hanno rispettato le promesse di aiuti contro le politiche di Israele. Non sappiamo quanto questo sia il risultato delle ripercussioni finanziarie della pandemia o delle pressioni degli Stati Uniti. Ma il risultato è lo stesso», ha comunicato qualche giorno fa il ministro degli esteri dell’Anp, Riad al Malki.

 

L’accelerazione dell’indebitamento interno e la necessità di ottenere aiuti finanziari spingono Abu Mazen verso l’alleanza Turchia-Qatar, avversaria della “Nato araba” composta da Arabia saudita, Emirati, Egitto e Bahrain. «Questo avvicinamento ha diverse motivazioni – ci dice il giornalista Aziz Kahlout – la più importante è la delusione di Abu Mazen per la mancata condanna da parte della Lega araba (controllata da Riyadh e Abu Dhabi, ndr) della normalizzazione con Israele. Poi c’è la constatazione che solo il Qatar, tra i paesi arabi, pur avendo relazioni segrete con Israele continua a finanziare i palestinesi. Doha ogni mese trasferisce 30 milioni di dollari a Gaza e ha già concesso ingenti prestiti a lungo termine all’Anp».

 

Il disappunto dei palestinesi in questi giorni è forte anche nei confronti dell’Egitto, che ha applaudito alla normalizzazione di Emirati e Bahrain con Israele promossa dall’Amministrazione Trump. A Ramallah inoltre non piace il rapporto che l’Egitto mantiene con Mohammed Dahlan, il reietto della politica palestinese e avversario di Abu Mazen (vive a Dubai), che non pochi vedono coinvolto nei recenti accordi di normalizzazione (lui nega). In questo clima, il partito Fatah di Abu Mazen e il movimento islamico Hamas hanno ripreso i colloqui per la riconciliazione nazionale palestinese. Non al Cairo, dove si sono svolti invano per anni, bensì ad Istanbul, nella Turchia di Erdogan nemico giurato del presidente egiziano El Sisi. E gli incontri hanno già prodotto un’intesa: i palestinesi terranno appena possibile elezioni legislative in Cisgiordania e a Gaza.