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Abolire la contenzione: e tu slegalo subito

Fuoriluogo La rubrica settimanale a cura di Fuoriluogo

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 6 gennaio 2016

Legare un malato, mani e piedi, magari alle sponde di un letto: questa è la contenzione meccanica.

Una pratica diffusa in  gran parte dei servizi psichiatrici ospedalieri di diagnosi e cura (Spdc) del nostro Paese, come denuncia il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) nel documento «La contenzione: problemi bioetici» (aprile 2015).
Il CNB scrive: «La contenzione … è da considerarsi un residuo della cultura manicomiale. Ciononostante, la pratica di legare i pazienti e le pazienti contro la loro volontà risulta essere tuttora applicata, in forma non eccezionale, senza che vi sia un’attenzione adeguata alla gravità del problema, né da parte dell’opinione pubblica né delle istituzioni».

Ma perché accade? Nei luoghi dove è praticata la contenzione è spesso giustificata come una misura dolorosa ma necessaria: si lega «un matto» in crisi acuta per scongiurare pericoli per sé e per gli altri. Per evitare atti di autolesionismo o aggressioni.
Eppure in diversi Spdc la contenzione non esiste, anche le porte del reparto sono aperte.

A riprova che si può non legare. Nell’Opg di Montelupo Fiorentino è stata abolita nel 2011, grazie alla direttrice Antonella Tuoni, e alla professionalità degli operatori che hanno accettato il cambiamento.

In molti luoghi di cura si lega dunque, ma non se ne parla. A meno che non capiti l’incidente. Come nel caso di Francesco Mastrogiovanni morto nell’Spdc di Vallo della Lucania dopo 4 giorni di contenzione. «87 ore» si intitola il film di Costanza Quatriglio, che testimonia – tramite l’occhio delle telecamere di sorveglianza – l’agonia di Mastrogiovanni. Simile la tragedia di Giuseppe Casu, legato al letto per una settimana nell’Spdc dell’ospedale «Santissima Trinità» di Cagliari. Queste le due morti che hanno fatto notizia: ma altri «incidenti» sono caduti nel silenzio.

Di fronte a una pratica, che umilia e ferisce innanzitutto le persone che la subiscono, ma che mortifica anche la professionalità degli operatori, abbiamo deciso di reagire con la campagna «per l’abolizione della contenzione … e tu slegalo subito». Lo slogan riprende la risposta che Franco Basaglia dava agli operatori che gli chiedevano cosa fare di fronte ad un paziente legato.

La campagna, promossa dal Forum Salute Mentale, vede tra i «primi firmatari» i rappresentanti di tante associazioni (sul sito si può scaricare e firmare l’appello).

La campagna sarà presentata a Roma il 21 gennaio 2016. Nell’occasione saranno proposte le prime iniziative. Innanzitutto bisognerà organizzare le visite alle strutture dove si pratica la contenzione, ma anche a quelle dove non si pratica: per capire, informare, dare il segno di una vigilanza democratica. E poi raccogliere testimonianze, anche sostenendo la denuncia delle persone che hanno subito la contenzione.

Infine, bisogna stare al fianco degli operatori che con scelte coraggiose riescono ad opporsi alla contenzione, persino a disubbidire. E sostenere e promuovere le vertenze per contrastare i tagli al welfare e rivendicare organici adeguati: non possiamo dimenticare che troppo spesso gli operatori dei servizi devono operare in condizioni difficilissime. Ma, come abbiamo detto per la chiusura dei manicomi e degli Opg, le difficoltà in cui gli operatori lavorano non possono e non devono giustificare pratiche che ledono i diritti delle persone più vulnerabili.

Non a caso l’Appello si conclude con un richiamo alla Costituzione per vincolare «l’agire quotidiano e l’esercizio difficile e paziente della democrazia, per rendere impensabili fasce, reti e porte blindate». Insomma, per restituire diritti e affermare che la dignità di ciascuna persona è inviolabile.

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