Abitare la transizione, invertire la tendenza
Appello Secondo appuntamento assembleare del percorso #ilmondocheverrà. L'incontro si terrà in forma telematica il 30 aprile dalle 17.30
Appello Secondo appuntamento assembleare del percorso #ilmondocheverrà. L'incontro si terrà in forma telematica il 30 aprile dalle 17.30
Non avremo la “fase 2”, ma una lunga transizione. Scaglionate nel tempo le aperture: delle attività produttive, delle Regioni, delle scuole. Distanziamento sociale e controlli biometrici diverranno la norma, fino al vaccino e forse oltre. Pure lo smart working, soprattutto nei servizi, difficilmente cederà il passo alla riapertura degli uffici, che sicuramente disporranno nuova turnazione oraria e giornaliera. Intanto le previsioni relative a economia e occupazione peggiorano di giorno in giorno, in Italia e nel mondo tutto. Nel Bel Paese, più di altri colpito dalla crisi finanziaria e dei debiti sovrani esplosa un decennio fa, il 10% del PIL andrà in fumo nel 2020, settori chiave sono già in ginocchio. Centinaia di milioni, nel mondo, i posti di lavoro che andranno perduti. In modo ancora più accentuato la crisi colpirà in modo differenziale società e popolazioni nella transizione: migranti, poveri e donne, precari, lavoratori informali e anche una parte dei lavoratori dipendenti pagheranno il prezzo più alto. Da tempo insistiamo: il neoliberalismo ha i tratti di una «accumulazione originaria» cronica. Oggi più che mai, se non ci saranno inversioni di tendenza, la diagnosi è azzeccata. Fuori dal lockdown, un’uscita differenziata e che sarà spesso segnata da ripensamenti, il mondo neoliberale sarà costellato di macerie e impoverimento, diffidenza reciproca e fughe disperate (pensiamo a quelle che stanno riguardando i lavoratori migranti delle megalopoli indiane).
Nella catastrofe naturale, almeno in apparenza senza colpevoli, riemerge in superficie il capitale come rapporto sociale. La ricchezza di Amazon, mentre milioni di donne e di uomini fronteggiano disoccupazione e fame, è immagine perspicua: se COVID-19 non ha responsabili, la sua gestione illumina il capitalismo come catastrofe permanente. A partire da questa considerazione, e dunque dal desiderio comune di ricostruire il pianeta in altro modo, si è mossa la prima assemblea del #mondocheverrà. Il cammino intrapreso riparte il 30 aprile prossimo: una nuova assemblea, articolata in tre distinte camere virtuali tematiche, le quali saranno precedute e seguite da una plenaria conclusiva.
Lavoro, welfare, reddito. Altri 50 miliardi, in Italia, proveranno a implementare ammortizzatori sociali e sussidi. Ancora misure particolari, con un reddito, quello di emergenza di nuova istituzione, a dir poco residuale e sotto-finanziato. SURE, in Europa, dovrebbe fare quanto in Italia fa non sempre bene la Cassa Integrazione. Il fondo per la ricostruzione licenziato dalla Commissione UE dovrebbe rilanciare, anche nel Sud, la spesa pubblica. Ma dove andranno a finire le risorse? Chi deciderà sulla loro ripartizione? Lo abbiamo detto in tanti il 9 aprile scorso, dobbiamo approfondire: le lotte economiche, sul welfare e per il reddito, non potranno non essere anche lotte politiche. Indubbiamente c’è da temere per la nostra libertà, già segnata dal grande saccheggio dei dati, dalle app e dai social. Ma c’è da temere, forse di più, per il contrasto ormai costitutivo tra lavoro e salute. Salute in senso lato: quella di chi torna in fabbrica, dove la sanificazione sarà uno slogan; quella di chi rimane chiuso in casa, con la coincidenza piena e devastante di tempo di vita e tempo di lavoro. Lavoro che manca e che mancherà, welfare residuale e sotto-finanziato: i nemici da battere.
Democrazia e Rete. Se lotte economiche e lotte politiche possono ritrovare l’unità perduta, le forme della politica, i suoi strumenti, non sono terreno neutro. La democrazia liberale è sfinita dagli autoritarismi che nel mondo primeggiano: non saremo noi a salvarla! Torniamo ai principi: la democrazia da costruire non separa forma da contenuto; è un processo aperto e non una selettiva chiusa idraulica delle istanze sociali; «l’enigma risolto di tutte le costituzioni», scriveva un giovane di Treviri. La rete è un primo ambito in cui mettere in gioco questa idea di democrazia, consapevoli del fatto che oggi la rete è spazio per eccellenza produttivo, presidiato e insidiato dalle operazioni di piattaforme capitalistiche che attorno all’estrazione e alla manipolazione dei dati costruiscono vertiginosi processi di valorizzazione. La crisi che stiamo vivendo esaspererà ulteriormente questa situazione, le piattaforme usciranno senz’altro come vincitrici dalla crisi. Costruire nella Rete la nostra democrazia, usare le tecnologie informatiche per determinare la proliferazione di contropoteri digitali significa disporsi a praticare un conflitto che interviene sulle stesse forme della produzione e della valorizzazione capitalistica: davvero non v’è distinzione, qui, tra lotta politica e lotta economica. Ma mentre sottolineiamo la rilevanza della Rete per la costruzione di nuovi istituti democratici, affermiamo con forza la necessità di lottare contro l’azzeramento dello spazio pubblico nel tempo della pandemia. È nelle piazze e nelle strade delle città, uscendo dalle case, che si tratta di tornare a costruire e inventare lo spazio pubblico delle lotte e dei movimenti: le esperienze di mutualismo che sono proliferate in queste settimane pongono una prima base per questo spazio pubblico, su cui si tratta di sperimentare forme stabili di autogoverno. La città, l’ambito municipale si presenta in questo senso come terreno privilegiato di lotta e di sperimentazione politica, assumendo come riferimento fondamentale le pratiche di prossimità, per lavorare alla costruzione di istituti di welfare territoriale che puntino a ricostruire e organizzare la società, prendendosi cura di quanti e quante sono lasciati soli e costruendo processi di attivazione per sviluppare anticorpi e per avere cura di sé e degli altri. Tutti e tutte insieme!
Diritto alla salute, vaccino del comune, riconversione ecologica. Con ogni evidenza il tema della salute giocherà un ruolo fondamentale nella lunga transizione che si sta aprendo. Ma la salute può essere interpretata e gestita in molti modi, può ad esempio essere terreno di sperimentazione di pratiche di gestione burocratica, paternalistica quando non autoritaria delle popolazioni. Porre l’accento sul diritto alla salute è cruciale da questo punto di vista, e dobbiamo essere in grado di collegare il diritto alla salute con un rinnovato protagonismo dei lavoratori e delle lavoratrici che operano nel settore sanitario per invertire la radicata tendenza ai tagli e al sotto-finanziamento e per avviare una rifondazione e una riqualificazione del sistema sanitario pubblico. La lezione femminista sulle molteplici dimensioni della cura è qui per noi essenziale, tanto per l’individuazione del peso materiale e mentale del lavoro di cura nel suo complesso quanto il riconoscimento della relazione come elemento costitutivo della soggettività. La cura del comune emerge come terreno in cui in gioco è proprio il modo di intendere il soggetto, al di là dell’immagine classica dell’individuo. Quando diciamo vaccino del comune intendiamo riferirci poi a un processo di democratizzazione della ricerca universitaria e scientifica, a una partecipazione di massa che sottragga la gestione della pandemia alla “tirannia degli esperti”. Inutile dire che siamo ben lungi da ogni forma di sottovalutazione del ruolo di virologi ed epidemiologi (che vorremmo anzi coinvolgere nel nostro dibattito): siamo ben lungi, per dirla con una battuta, da ogni forma di superstizione e terrapiattismo. Ma vogliamo porre il problema del radicamento della scienza all’interno di un più ampio tessuto di rapporti sociali, del rapporto tra intelligenza scientifica e intelletto generale. Sappiamo bene che paradigmi scientifici come la statistica e l’igiene pubblica hanno un’origine prossima alle scienze del governo: vogliamo porre la questione della riappropriazione di questi paradigmi nella prospettiva di un nuovo benessere e di una nuova felicità – di una nuova pratica e cura del comune. Questo vale anche per il tema della riconversione ecologica, che affrontiamo nella consapevolezza della sua urgenza, che la crisi del COVID-19 ha reso ancor più evidente. Porre questo tema non significa però per noi proporre argomentazioni all’insegna del moralismo e di una celebrazione della frugalità: a quanti che inneggiano alla rinuncia al superfluo ricordiamo che ci sono milioni di poveri a cui manca lo stretto necessario. Piuttosto, siamo convinti che per affrontare il cambiamento climatico sia essenziale promuovere e valorizzare fino in fondo quelle cha abbiamo appena definito nuove alleanze tra intelligenza scientifica e intelletto generale, nella prospettiva di rendere possibile una decisione comune sul modello di sviluppo.
Di tutto questo vogliamo discutere il 30 aprile, dalle ore 17:30. Vogliamo costruire insieme una cassetta degli attrezzi che ci consenta di abitare politicamente la lunga e dolorosa transizione che si sta aprendo. Le tendenze che segnano questa transizione sono sotto i nostri occhi: estensione del controllo sociale, autoritarismo, l’avvio di una nuova fase di «accumulazione originaria» del capitale con tutto quel che comporta in termini di impoverimento di massa, intensificazione dello sfruttamento e violenza dei processi di estrazione del valore. Siamo convinti tuttavia che ci siano le condizioni per lottare con successo contro queste tendenze, per bloccarle e per rovesciarle. La conquista di uno spazio pubblico, dentro e fuori la rete, in cui cominciare a organizzarci è la prima condizione per farlo. La stesura collettiva di un programma di lotta, attorno ai temi del lavoro e del welfare, della salute, del ruolo della scienza e della riconversione ecologica, è ciò di cui abbiamo bisogno per cominciare a orientarci nel #mondocheverrà.
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