Abe visita il Santuario dei «criminali di guerra»
Giappone Violente proteste di Cina e Corea del Sud
Giappone Violente proteste di Cina e Corea del Sud
Era dal 15 agosto 2006, la data che ricorda la sconfitta giapponese durante la seconda guerra mondiale nel 1945, che un primo ministro giapponese non si recava al controverso santuario di Yasukuni: allora toccò a Junichiro Koizumi. Ieri, invece, l’attuale premier nipponico, Shinzo Abe (nella foto reuters), ha scelto il modo peggiore, secondo il resto del mondo, per celebrare il suo primo anno da premier, recandosi al santuario shintoista, ricordo storico dei caduti di guerra giapponesi, 2,5 milioni fin dai tempi del diciannovesimo secolo, tra i quali alcuni che sono stati considerati «criminali di guerra». Tra loro il più noto è sicuramente il generale Hideki Tojo, il padre dell’attacco giapponese a Pearl Harbour ma anche il più accanito sostenitore del patto con la Germania nazista e l’Italia fascista. Hideki Tojo, ministro della Guerra dal 1940 al 1944 venne infine condannato a morte per crimini di guerra dal Tribunale Militare Internazionale per l’Estremo Oriente.
Durante il periodo della seconda guerra mondiale, il Giappone conquistò territorialmente larghe fette della Cina e della penisola coreana; i propri soldati si macchiarono di crimini feroci: la Cina ricorda ancora oggi «lo stupro di Nanchino» – oltre 200mila vittime – mentre i coreani hanno ancora viva la memoria delle donne coreane stuprate e utilizzate come schiave dai soldati giapponesi. Sia Cina sia Corea hanno sempre rimproverato a Tokyo di non aver mai chiesto scusa per quelle tragedie. La visita di Abe rientra inoltre in un periodo nel quale il Giappone ha annunciato un aumento consistente della propria spesa militare a conferma della ricetta politica-economica della Abenomics: non solo scelte economiche, ma anche politiche incentrate su un nuovo nazionalismo e una rinnovata arroganza della potenza giapponese.
Naturale dunque che la mossa di Abe abbia finito per scatenare violente reazioni da Pechino – che ha richiamato l’ambasciatore giapponese – e Seul, anche perché il gesto del premier nipponico conferma il suo sospettato revisionismo nazionalista, (ricordato da Abe nei suoi discorsi per porre fine alla visione «masochista» della storia da parte dei giapponesi) che sembra essere ormai una posizione «forte» a Tokyo; l’esito della visita è stato per altro prevedibile, benché abbia finito per accendere i toni molto più del solito per quanto riguarda la Cina, mentre la riposta più dura è arrivata dalla Corea del Sud, a conferma di come la mossa del primo ministro giapponese rischi di rimettere in discussione equilibri, che sembravano essersi rinsaldati dopo il gesto – recente – cinese di creare una zona di identificazione di difesa aerea nell’area del mar cinese orientale. Commenti negativi sono arrivati anche dagli alleati storici del Giappone, vale a dire gli Stati Uniti.
Il premier giapponese sapeva bene del vespaio che avrebbe creato la sua visita e per questo si era premunito di spiegarne le ragioni: «ho scelto questo giorno – ha detto – per segnalare e sottolineare quello che abbiamo fatto durante l’anno da quando l’amministrazione ha avviato i suoi lavori». Abe ha poi specificato di non avere alcuna intenzione «di ferire i sentimenti del popolo cinese e della Corea del Sud».
Pechino, ha definito la visita del primo ministro giapponese «assolutamente inaccettabile». Il Giappone, ha spiegato il Direttore generale degli Affari asiatici del ministero cinese degli Esteri, Luo Zhaohui, dovrà «sopportarne le conseguenze». Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Qin Gang ha detto che «l’essenza delle visite dei funzionari giapponesi al tempio Yasukuni è quella di glorificare la storia dell’aggressione militarista e della dominazione coloniale del Giappone e l’evento crea un nuovo significativo ostacolo ai rapporti bilaterali con la Cina». Da Seul i commenti non sono stati meno negativi: «non possiamo che deplorare ed esprimere la nostra rabbia per la visita del premier giapponese al santuario Yasukuni, nonostante le preoccupazioni e gli avvertimenti da parte dei paesi confinanti» ha dichiarato il ministro della Cultura sudcoreano Yoo Jin-Ryong; «la visita – ha aggiunto – indica un comportamento anacronistico che reca danni non solo ai rapporti tra Corea del Sud e Giappone, ma anche per la stabilità e la cooperazione nell’Asia nord orientale». Rammarico espresso anche dagli Usa che dalla propria ambasciata a Tokyo hanno reso noto di ritenere Abe «responsabile di esasperare le tensioni con i paesi limitrofi».
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