«Abbiamo utilizzato lo stile del reportage per raccontare lo stato d’animo delle persone»
Intervista Il videomaker Filippo Bellantoni racconta il documentario Legno vivo
Intervista Il videomaker Filippo Bellantoni racconta il documentario Legno vivo
Filippo Bellantoni, autore e regista di Legno vivo. Xylella, oltre il batterio, è giornalista e videomaker, esperto di nuovi media e strategie social. Ha ideato, sviluppato e gestito siti d’informazione e attualità. Ha lavorato come videoreporter, dal 2005 al 2015, per il Tg di Romauno Tv. Cura il progetto editoriale online Bosco di Ogigia, occupandosi della parte di produzione video e delle strategie di comunicazione digitale.
Com’è nata l’idea del documentario?
È nata d’istinto a febbraio 2019. Stavo lavorando con Francesca Della Giovampaola al progetto editoriale Bosco di Ogigia, legato all’ambiente e alla sostenibilità. Ci siamo incontrati con Elena Tioli, che ci ha parlato del suo desiderio di approfondire il tema della Xylella. Ci è sembrato un argomento in linea con i nostri contenuti. Sia io sia Francesca ci occupiamo soprattutto di video sui social. Elena ci ha proposto di realizzare un documentario. Così abbiamo deciso di partire andando a cercare di capire cosa stesse accadendo in modo neutrale. Il mese successivo, a marzo, siamo arrivati in Puglia.
Come vi ha accolto la popolazione locale?
Abbiamo ricevuto molto sostegno. Però abbiamo anche constatato che c’è tanta rabbia e diffidenza, forse perché la gente del posto ha compreso che ci sono tanti interessi, ha visto tante persone approfittarsene, tante promesse non mantenute. Fortunatamente molte persone, vedendo il documentario, si stanno rendendo conto dei danni che la Puglia sta subendo anche a causa delle scelte politiche che sono state fatte.
Cosa avete scoperto?
Abbiamo incontrato scienziati, medici, agricoltori, contadini. Abbiamo visto come stava la terra. Ci ha molto aiutato Francesco Mastroleo, l’agricoltore protagonista del film. Di lì è nata l’idea di andare ad Almeria, in Spagna. Abbiamo capito che c’erano coltivazioni super-intensive simili a quelle che vorrebbero creare in Puglia. Hanno bisogno di tanta acqua. Sono insostenibili per i piccoli agricoltori. Infatti, molte persone sono andate via. La parte delle serre inizialmente non era prevista nel film, ma avendo visto quel campo di ulivi secolari in Puglia distrutto con delle serre che avanzano, abbiamo cercato le serre in Andalusia dove vengono coltivati i prodotti per il resto d’Europa. In quella zona il suolo è praticamente morto, una sorta di pavimento dove il cibo viene appoggiato. Sono stati usati vari fertilizzanti e la terra ha perso fertilità. È un tipo di agricoltura estrattiva.
Ma avete anche trovato buone pratiche agricole…
Sì. Francesco Mastroleo in Puglia è un esempio. In Spagna abbiamo trovato una bellissima realtà: si chiama Oro del desierto. È un’azienda agricola che, pur utilizzando molta tecnologia, si serve di metodi antichi come filosofia. I principi sono quelli dei nonni: recupero di energia e acqua e zero sprechi. Il proprietario conosce la permacultura. È molto attento all’economia circolare.
Che cosa sapevi sulla Xylella prima di partire?
Avevo l’idea del mainstream, che viene da tanto tempo comunicata sui giornali e in tv. Ovvero che è una malattia che sta distruggendo gli ulivi e sta causando dei disastri. Sono partito con il desiderio di capire. Realizzando questo documentario mi sono reso conto che, sì, la Xylella c’è, esiste. Ma perché è arrivata, quali erano le condizioni del territorio in pochi se lo sono chiesti. Possibile che gli ulivi che hanno vissuto migliaia di anni debbano soccombere così adesso?
Qual era il vostro scopo quando avete deciso di girare Legno vivo?
Era quello di raccontare le emozioni delle persone sul territorio. Lo stato d’animo dei pugliesi, che in pochi anni hanno visto venire meno un simbolo della loro cultura. Abbiamo scelto di raccontare tutto con lo stile del reportage, attraverso il viaggio. Nel documentario c’è quello che abbiamo visto. Le parti più forti sono quelle accadute all’improvviso. Per esempio quella con i trattori pieni di pesticidi. Lì abbiamo constatato l’incoscienza con cui ancora si usano certi metodi.
La vostra è una produzione indipendente. Fare video-giornalismo in questo modo in Italia quindi è possibile?
Sì. Abbiamo aperto una campagna di crowdfunding sulla piattaforma GoFundMe e molte persone ci hanno sostenuto. Così siamo riusciti a coprire le spese vive. Ne restano ancora delle altre. Abbiamo anche avuto dei partner che ci hanno dato un piccolo contributo, Macrolibrarsi e Cimi.
Quali reazioni ci sono state durante le proiezioni?
In tanti ci hanno detto che è un film che emoziona, che emotivamente arriva, che lascia molta rabbia per ciò che denuncia. Questo per noi è importante perché il nostro scopo era proprio quello di fornire degli elementi che dessero consapevolezza e favorissero l’azione. Tante persone hanno reagito commovendosi.
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