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Abbiamo un problema, il rebus dei nidi

Abbiamo un problema, il rebus dei nidi – Ap

Scuola Né babysitter, né babyparking, la questione dei piccoli da 0 a 6 anni è difficile da affrontare perché riguarda l’organizzazione generale della società

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 14 maggio 2020

Abbiamo una “questione nidi”, che sembra essere un problema marginale rispetto a molti altri, magari da far risolvere agli addetti al settore. E invece non è così: decidere di riaprire o non riaprire i nidi e come farlo dovrebbe riguardarci tutti.

È vero quello che molti hanno notato: nella pandemia, la scuola e la questione educativa sono state marginali nel dibattito pubblico. Del resto è anche vero, come sa chi si occupa con serietà di politiche dell’istruzione, che non esiste una questione scuola e occorre articolare la riflessione almeno per cicli: ragionare, per esempio, sulle superiori e sull’educazione degli adolescenti implica considerazioni completamente differenti rispetto alla fascia 0-6.

Ma veniamo al problema della riapertura dei nidi, che è al tempo stesso sanitario, educativo, e legato all’organizzazione generale della società. Quest’ultimo aspetto sembra diventato il più centrale dei tre. I genitori devono tornare al lavoro e non sanno come fare, occorre riaprire prima possibile i nidi. Quest’affermazione – apparentemente incontrovertibile – rivela però un’idea di fondo del nido come babyparking. Non è così, non dev’essere così.

Il nido è un luogo dove si fa educazione; sappiamo anche quanto negli ultimi decenni la pedagogia della primissima infanzia abbia completamente scardinato l’idea di equiparare una educatrice a una babysitter o una assistente all’infanzia. (Uso termini declinati al femminile perché il 99 per cento del personale è femminile, e questa è chiaramente una questione su cui ragionare).

L’educazione nella fascia 0-3 non può prescindere dal contatto fisico, anzi lo sperimentare con i sensi è un canale fondamentale per uno sviluppo affettivo, sociale, motorio, cognitivo. Per un bambino il rapporto con il mondo passa attraverso il corpo, in modo concreto. È possibile immaginare un nido senza toccarsi, oppure stando attenti o limitando i contatti? È possibile pensare a una relazione educativa con bambini 0-3 che prescinda dalla prossimità fisica? No. Non soltanto è impossibile ma è un esercizio antieducativo.

Se un bambino di un anno e mezzo vuole un abbraccio di una compagna o dell’educatrice non può elaborare che questa prima si deve lavare le mani, lo abbracci “di schiena”, con la faccia girata, con i guanti, o con la mascherina, o che per via del Covid è meglio non abbracciarsi. È evidente che una reazione del genere non può essere elaborata dai bambini che nei primi anni di vita costruiscono la propria identità, la fiducia in sé proprio attraverso messaggi corporei con l’adulto di riferimento e con gli altri bambini, misure di distanziamento che possono persino produrre un trauma.

Secondo tema: quello sanitario. Ci eravamo un po’ illusi leggendo i risultati lo studio epidemiologico dell’équipe di Andrea Crisanti su Vo’ Euganeo che i bambini non si ammalassero e non fossero infettivi. Poi un paio di studi cinesi con un campione molto più largo, uno pubblicato su Lancet il 27 aprile, l’altro su Science il 29, ci hanno detto il contrario: gli 0-10 sono esposti al contagio come gli altri e sono contagiosi a loro volta, anche se i sintomi sono lievi o nulli nella maggior parte dei casi. E questo senza contare il fatto che del covid sappiamo ancora poco, e che ci sono patologie infantili come la sindrome di Kawasaki che sembrano essere collegate. Ma senza allarmi: constatiamo solo che i nidi rischiano di essere dei luoghi di contagio, e che le educatrici non possono fare nulla per tutelarsi.

Terzo tema: la funzione dei nidi rispetto all’organizzazione della società. È chiaro che se i genitori non possono lasciare i figli al nido, devono tenerli in casa, prendersi permessi lasciarli ai nonni o alle babysitter. Il sostegno degli asili nido alle madri su cui spesso ricade soprattutto la cura dei figli piccoli è un diritto sociale che è stato guadagnato non tanto tempo fa e nemmeno ancora per tutti. Giusto, ma si può pensare di scaricare questo peso sulle educatrici dei nidi? Non sono anche loro lavoratrici, con figli spesso, eccetera?

Per concludere, ci sono certo esigenze reali molto importanti, come quella della socialità con il gruppo dei pari per esempio, o quella del diritto all’educazione in un contesto che non sia solo famigliare. Ma ci sono necessità che questa malattia non può farci eludere: quella della salute pubblica come diritto di tutti, e quella di non pervertire il lavoro delle educatrici in quello di vigilanti; sarebbe un danno per i bambini. I nidi ora non possono riaprire.

La prudenza vorrebbe invece che si approntassero i nidi per settembre non solo per le necessità post-covid, ma anche tenendo conto degli aggiornamenti pedagogici: fare sempre più attività all’aperto per esempio è una direzione ottima, che – tra l’altro – va in controtendenza rispetto alle norme per cui negli asili dovevano essere installate le telecamere. Nel frattempo si può immaginare di ascoltare e di formare le educatrici che in questi mesi hanno preservato la relazione educativa con i bambini inventandosi molte forme diverse anche non in presenza, riuscendo a costruire insieme alle famiglie delle vere comunità educanti.

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