L’universo è un oceano increspato dalle onde gravitazionali che lo attraversano. È questa l’immagine del cosmo emersa dalle ricerche degli astronomi dell’International Pulsar Timing Array (Ipta), una rete internazionale di ricercatori che cerca le tracce delle onde gravitazionali nei dati raccolti dai radiotelescopi di Nordamerica, Europa, Cina, India e Australia. Gli studi sono stati pubblicati nell’ultimo numero della rivista The Astrophysical Journal Letters.

Le onde gravitazionali sono oscillazioni che dilatano e contraggono lo spazio in cui è immerso ogni corpo nell’universo. Lo spazio e il tempo, infatti, non sono rigidi come si riteneva fino alla scoperta della relatività generale di Einstein. Vanno immaginati piuttosto come le trame di un tappeto elastico che sorregge tutto l’universo e che dunque può allungarsi, comprimersi e vibrare. A generare le oscillazioni sono le accelerazioni dei corpi celesti più grandi e densi, come ad esempio le coppie di buchi neri in rotazione, o quelle i buchi neri collassano l’uno sull’altro con un botto fragoroso – si fa per dire, perché il suono non si trasmette nel vuoto cosmico.

Finora, le onde erano state osservate grazie agli osservatori Ligo negli Usa e Virgo (a Cascina, vicino Pisa). Sono tunnel lunghi chilometri e perfettamente rettilinei in cui la luce viene fatta rimbalzare sugli specchi per rilevare ogni minima vibrazione che potrebbe dipendere da un’onda gravitazionale. Con questo sistema, a Ligo e a Virgo si possono rilevare solo gli «tsunami» gravitazionali, cioè le onde intensissime ma di breve durata generate dagli scontri tra buchi neri e stelle di neutroni, così energetiche da essere captate a miliardi di anni luce di distanza.

I ricercatori del progetto Ipta sono invece riusciti a individuare per la prima volta le increspature a bassa frequenza che, come le onde del mare, agitano continuamente lo spazio-tempo. E dato che la frequenza è inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda, tra una cresta e l’altra c’entra un intero sistema solare. Secondo gli scienziati le onde provengono dalle tante coppie di buchi neri al centro delle galassie che si girano intorno come in un valzer. «Invece degli urli intercettati all’osservatorio Ligo, noi abbiamo rilevato il mormorìo di fondo», spiega Katerina Chatziioannu del California Institute of Technology che partecipa a entrambi i progetti di ricerca.

Il metodo usato è ingegnoso e si basa sui dati raccolti per quindici anni dai radiotelescopi di mezzo mondo. Gli astronomi hanno analizzato i segnali trasmessi dalle pulsar, stelle che ruotano come trottole fino a centinaia di volte al secondo scoperte negli anni ‘60 dall’astrofisica britannica Jocelyn Bell. Come i fari sulle coste, queste stelle emettono impulsi a intervalli regolari che vengono monitorati dai radiotelescopi da molti anni. Quando un’onda gravitazionale attraversa lo spazio che separa la pulsar dalla Terra questa regolarità viene alterata perché il tempo di percorrenza dell’impulso si allunga e si accorcia. «Bisogna immaginare un oceano solcato da un gran numero di onde generate da coppie di buchi neri di grande massa posizionati in vari punti dell’universo» spiega Joseph Lazio, altro membro della collaborazione Ipta. «La Terra e le pulsar fungono da boe, e cerchiamo di misurare come le onde cambiano e spostano avanti e indietro le boe». Sapevamo già quale sarebbe stato l’effetto atteso di un’onda gravitazionale sulle radiazioni delle pulsar, e i dati dei radiotelescopi hanno confermato le previsioni teoriche.

Se con l’accumulo dei dati la scoperta sarà confermata, avremo una nuova dimostrazione che Einstein ci aveva visto giusto nel 1916, quando ipotizzò che lo spazio-tempo potesse vibrare a causa degli effetti della teoria della relatività generale. Ma anche che aveva torto, quando affermò che osservare le onde gravitazionali sarebbe stato al di là della portata degli umani. La scoperta odierna, realizzata studiando i dati delle pulsar, ci insegna che le scoperte più importanti non richiedono necessariamente infrastrutture costose e avanzatissime, come gli osservatori Ligo e Virgo. A volte, una buona idea vale più di mille miliardi.