«Siamo qui a Fiumicino aspettando due amici di Antonio che arrivano adesso da Parigi, un francese e un americano, e non abbiamo ancora avuto un momento per parlare della nostra estate». Si apre così Fratelli d’Italia (1963), il romanzo-conversazione di Alberto Arbasino (Voghera 1930 – Milano 2020), lo scrittore di culto al quale è dedicato ora Arbasino A-Z, ottavo volume della collana «Enciclopedie» di Electa (a cura di Andrea Cortellessa, pp. 272, euro 35,00).

Un viaggio, un non luogo, un gruppo di amici, la voglia di cominciare a parlarsi: lungo queste direttrici, che informano – intersecandosi e dando origine a infinite possibilità narrative – l’opera polifonica di Arbasino, Cortellessa orchestra le voci di questo caleidoscopico dizionario, abbracciando tutte le multiformi esperienze culturali che lo scrittore ha attraversato.

Organizzato per voci come consuetudine della collana (splendidi per ricchezza di voci e di materiali iconografici i recenti Steinberg A-Z, Calvino A-Z, entrambi a cura di Marco Belpoliti, e Scialoja A-Z, a cura di Eloisa Morra), il dizionario ci permette di seguire, con la discontinuità propria degli atlanti contemporanei, la storia di uno scrittore eccentrico e imprendibile, impossibile da catalogare per la sua abitudine alla trasgressione delle regole implicite nei generi letterari e proprio per questo meglio rappresentato da una forma centripeta e intermittente com’è quella del catalogo.

Già con la prima raccolta di racconti, Le piccole vacanze, con cui esordisce da Einaudi nel ’57, Arbasino inaugura una linea narrativa che Andrea Gialloreto definisce «una costante ‘filosofica’ nell’opera dell’autore lombardo»: la vacanza è il tempo del viaggio, delle visioni mutevoli, delle contaminazioni, delle conversazioni a ruota libera, delle inquietudini che si traducono in un movimento continuo che dà luogo, sul piano dello stile, a un interminabile «monologo esteriore», come lo aveva genialmente definito Italo Calvino, orchestrato sulla figura retorica dell’enumerazione: «alcuni scrittori hanno molti stili – scrive Arbasino in un intervento giornalistico del 1998 –, a seconda delle occasioni: stile accademico, stile impegnato, stile da viaggio, stile televisivo, stile cibernetico, stile antico, stile faceto. Altri, come Gadda o Comisso o Ginzburg, ne avevano uno solo. Il loro».

E lo stile di Arbasino è riconoscibilissimo da subito e non replicabile, neppure nella sua maniera più estrema, quella associativo-vocale, forse la più imitata e «iconica», di cui Cortellessa offre un assaggio alla voce Selvaggi: «Per noi bambini bastava anche poco, una volta. Bueno, fuego, fuente, fuerte, puente, pueblo, puerto, puerta, la vuelta buena. Pochissimo o nada, bastava, per i piccini. Pablo, Pablito, Pedro, Pedrito, Paco, Paquito e Paquita, Benito, Rosita, Conchita, Carmencita, Pancho, Sancho, Rio Rita. Caminito, pobrecito, cielito lindo… Evita!».

Affidate in primo luogo alla musica, alla conversazione, alla parola parlata, al nonsense ecolalico, alla chiacchiera colta e conviviale come postura narrativa che permette di eludere gli snodi obbligati della costruzione a intreccio, le sue narrazioni funzionano come sensibilissimi magnetofoni naturali, capaci di catturare le voci più disparate: nascono così L’Anonimo lombardo (1966, più volte ristampato con varianti); Fratelli d’Italia (’63, poi con varianti ’67, ’76, ’83); La narcisata (’64, ’75); Super-Eliogabalo (’69, ’78, 2001); Il principe costante (’72); La bella di Lodi (’72, 2001), da cui è stato tratto il film omonimo di Mario Missiroli; Specchio delle mie brame (’74, ’95) e la copiosa produzione saggistica in cui i generi perdono i loro confini in forme d’ibridazione che ne trasformano i tratti peculiari (il sottotitolo di Fantasmi italiani, dove si dispiega la vena prolifica dell’invettiva politica, non a caso recita: «deposito, magazzino, inventario e un diario critico di tante cose pubbliche e private»).

Girovagando fra le voci di questo A-Z, da Baffi a Callas, da Carmen a Cazzeggio, da Dandy a Libertini, da Neo-Avanguardia a Only connect, da Sodomia a Stile, da Postmoderno a Vaffanculo, di Arbasino ritroviamo la passione per l’opera e per il musical, la frequentazione bulimica di concerti, mostre e sale cinematografiche, le amicizie, i tic, gli umori, le polemiche, le scelte deliberate, gli aneddoti, le insofferenze, le delicatezze e gli amori letterari del «mirabile bricoleur».

Le voci sono affidate a nomi noti che di Arbasino si occupano a diverso titolo da molti anni (nel catalogo del chi fa cosa, impossibile da restituire per intero): a Raffaele Manica, curatore dei due imprescindibili volumi dei «Meridiani», è affidata la voce Up to date; a Graziella Pulce le voci Critico, Essai e Posizioni; a Clelia Martignoni Perfezionismo; a Belpoliti Camp; a Walter Siti Cazzeggio; a Luigi Matt Lingua, Stile, Corsivo; ad Alessandro Giammei Kitsch, Neo-avanguardia, Rap; a Gialloreto Orienti e Vacanze; a Chiara Portesine Mantova, Match, Ossigenarsi, Pop, Zombi; a Lorenzo Marchese Non-fiction e Politica; a Federico Francucci Note e Post-moderno; a Luca Scarlini Dietro le quinte e Musical.

Nel vasto catalogo dei contributi spiccano alcuni snodi cruciali nell’opera dello scrittore, che il curatore Cortellessa tiene per sé: i viaggi negli Stati Uniti, con le cronache di scena e i reportage singolarissimi di cui si dà conto alla voce America; la celebre polemica sul provincialismo della cultura italiana (Chiasso); il retroterra della formazione giuridica (alla voce Diplomazia si ricordano gli anni di studio alla Statale di Milano, il trasferimento a Roma per seguire Roberto Ago, suo docente relatore di una tesi dal titolo La tutela giuridica dei funzionari e il contenzioso amministrativo, e i primi passi nella carriera diplomatica, presto abbandonata per la scrittura); il dialogo con Roland Barthes (Congegno); lo stilema fondativo dell’accumulazione (Congerie); la presenza di una prodigiosa memoria enciclopedica (Elefante); il topos contemporaneo del non luogo come metafora del crocevia di culture (Fiumicino); la «contrastata transazione generazionale» col moloch d’Annunzio, attraversato, parodiato, «dileggiato con dolcezza», ammirato soprattutto come «antropologo tenebroso» ma «formidabile» (Imaginifico); la poetica del bricolage desunta da La Pensée Sauvage di Lévi-Strauss (voce Selvaggi); il debito riconosciuto con Carlo Emilio Gadda, nella forma del tributo, dello studio, della sintonia di sguardi, dell’amicizia (voce Ingegnere); la filologia impossibile (voce Ri-scrittore) per quell’ansia variantistica, si dovrebbe forse dire mania, che ha dato luogo a innumerevoli rimaneggiamenti dei suoi testi, di cui rimane traccia nelle edizioni riviste e corrette dei libri a stampa e nelle carte – manoscritti, taccuini, bozze, appunti di lavoro – lasciate per volontà testamentaria, insieme alla corrispondenza, ad alcuni arredi e a migliaia di libri, al Gabinetto Vieusseux di Firenze (si veda la voce Vieusseux di Gloria Manghetti).

La sezione documenti, in coda al volume, è organizzata per nuclei di testi legati per motivi diversi a quattro città: Pavia, dove sono conservati i materiali autografi donati negli anni settanta a Maria Corti per il Centro manoscritti di autori moderni e contemporanei, da cui provengono qui le riproduzioni di pagine che testimoniano il fitto processo correttorio a cui lo scrittore sottoponeva i suoi testi; Bologna, dove Arbasino aveva allestito una singolare e assai fischiata messa in scena della Carmen, con debutto il 31 gennaio 1967 alla presenza di un divertito Roland Barthes; Torino, città in cui lo scrittore curò una mostra alla Mole Antonelliana nell’85 e un catalogo da cui è tratto I Viaggi perduti, sogno di un ritorno impossibile al Cairo condotto sul filo della memoria; e naturalmente Roma, dove Arbasino ha vissuto fin dagli anni cinquanta («Nato a Voghera nel 1930, rinato Roma nel 1957» dirà di sé nell’Autodizionario degli scrittori italiani), che si affaccia nella testimonianza di Luisa Laureati Briganti con un ricordo della Libreria dell’Oca e delle gallerie frequentate dagli artisti e dagli scrittori del Gruppo ’63, retroterra di amicizie da cui nasce nel 1978 la fiaba Luisa col vestito di carta, pubblicata con il corredo delle delicatissime illustrazioni di Giosetta Fioroni.

Chiudono il volume tre interviste di Antonio Gnoli rilasciate negli anni duemila e Ottanta posizioni di Andrea Cortellessa, intervento in forma di Postfazione che ci consegna l’eredità dello scrittore con le parole dell’amato Gadda, riportate senza commenti da Arbasino nell’Ingegnere in blu: «I tempi inchinano (sic!) a severità e credo che certe ruvidezze possano riuscire indigeste alla censura politico-cattolico-francescolitico-domenicana (…) Certo il mio metodo è diverso, perché io sono del parere di accogliere anche l’espressione impura (ma non meno vivida) della marmaglia, dei tecnici, dei ragionieri, dei notaî, dei redattori di réclames, dei compilatori di bollettini di borsa, ecc., dei militari oltre che quello che il cervello suggerisce bizzarramente per le sue nascoste vie. Altrimenti che cosa se ne fa di tutta la vita?».