Non è stato un fulmine a ciel sereno, era da tempo che il sindaco Daniele Pane sgomitava per essere inserito al tavolo del futuro del deposito nazionale delle scorie nucleari, seppur il suo comune non fosse stato nemmeno considerato potenzialmente idoneo nella Cnapi (la precedente Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee).

In riva al Po e a due passi dal Monferrato, Trino Vercellese – 7 mila abitanti in provincia di Vercelli – è una zattera galleggiante immersa nella pianura padana. Da sessant’anni la sua storia è legata a doppio filo al nucleare, nonostante in 23 anni di attività (1964-1987) la centrale Enrico Fermi abbia prodotto solo 26 miliardi di kWh di elettricità, allo stato attuale dei consumi in Italia meno di 30 giorni del fabbisogno.
L’impianto in via di smantellamento si trova lungo il corso del grande fiume e a una decina di chilometri da qui si ergono imponenti, in mezzo alle risaie, le torri dell’ex centrale termoelettrica Galileo Ferraris, che sarebbe dovuta essere atomica ma la sua originaria destinazione fu stoppata dal referendum del 1987. A 25 chilometri c’è, poi, Saluggia, la capitale delle scorie, soprattutto delle più pericolose, custodite vicino alla Dora Baltea in una zona totalmente inidonea.

Tanti e troppi rischi, tutti quelli da cui un territorio vorrebbe emanciparsi. Non la pensa così il sindaco di Trino, che l’8 novembre, un mese prima della pubblicazione della Cnai, in audizione alla Commissione ambiente della Camera, a proposito dei territori considerati idonei, dichiarava: «Se non ci dovesse essere accordo tra questi ultimi e lo Stato ci rendiamo disponibili a effettuare un’ulteriore indagine sul nostro per trovare una soluzione alternativa». Un intervento che porterebbe sul territorio contributi pubblici milionari, oltre a 4 mila occupati nel cantiere per quattro anni e a almeno 700 per la gestione. In un territorio, però, in base agli studi tecnici non idoneo.

Associazioni ambientaliste, cittadini e varie realtà tra Basso Vercellese e Basso Monferrato non ci stanno e martedì si sono riunite nel Comitato TriNo in opposizione al deposito nucleare in questa zona, pronti – se mai saranno formalizzata – a impugnare certe decisioni. «Sono anni – spiega uno dei promotori, Fausto Cognasso – che il sindaco Pane di Fdi boicotta il percorso Cnapi e probabilmente ora vuole levare le castagne dal fuoco al suo governo. Si gioca una carta politica in contraddizione però con il percorso fatto finora, che ha escluso Trino per motivi oggettivi, tra cui la falda troppo superficiale e una faglia che potrebbe diventare attiva, ma anche inconciliabile con lo sviluppo di un turismo dolce nel Monferrato e di una strada del riso di qualità in pianura».

Gian Piero Godio di Legambiente e Pro Natura, antinuclearista storico, segue la questione scorie fin da quando era ricercatore Enea: «È necessario trovare con urgenza un deposito nazionale, un luogo che possa determinare il rischio più basso per tutti, trovare il sito con meno difetti. Nel percorso di individuazione del deposito nazionale abbiamo contribuito a evidenziare le caratteristiche di non idoneità sfuggite ai criteri fissati, con l’obiettivo di trovare il sito con meno difetti. Un processo che ha avuto tre momenti di osservazione. Ora, il governo cambia le carte in tavola e le autocandidature creano una corsia preferenziale senza un doveroso passaggio di approfondimento pubblico. Nessuno razionalmente si sognerebbe razionalmente di fare un deposito a bagnomaria come nel caso di Trino con la sua scarsa soggiacenza della falda acquifera, sarebbe contrario alla mentalità del minore rischio possibile. Vedremo, comunque, se dai siti militari dismessi o dismissibili verranno alternative valide». È contrario all’autocandidatura di Trino anche il presidente della Regione Alberto Cirio: «Il Piemonte ha già fatto la sua parte».