Con l’Umbria alle spalle ed altre otto elezioni davanti, nel 2020 proseguirà la riorganizzazione delle forze politiche italiane. A destra il processo è pressoché compiuto. Nella restante area, invece, il futuro deve ancora cominciare ed il governo tra diversi, per alcuni scelta strategica e per altri stato di necessità, stenta a gettare le basi di un progetto comune.

Manca un’anima, si dice. Certo. Mancano un’analisi della crisi, un progetto di futuro e, quindi, una leadership. Manca, soprattutto, una soggettività che da sinistra faccia da attrattore e coagulatore di uno schieramento sociale ampio. Manca perché sono venute meno le condizioni che hanno segnato nascita e storia della sinistra: la crescita innanzitutto. La sinistra è figlia della crescita e della lotta per una più equa distribuzione dei suoi benefici. Se la crescita si ferma, ricchi e poveri sono spinti a difendere il benessere acquisito, poco o molto che esso sia, e si creano condizioni più favorevoli alla destra.

L’Italia, con una stagnazione lunga venti anni ed una pressione migratoria forte, sta qui e di fronte ad un bivio: o subisce il predominio della destra attestandosi a difesa di ciò che resta delle conquiste fatte, o propone un’altra strada, un altro modello di crescita e distribuzione. Una terza via non esiste perché avendo ammortizzato la lunga stagnazione col debito pubblico, oggi, non solo non si generano nuove risorse, ma quelle poche esistenti sono vincolate. Così la politica economica si riduce a poche scelte positive che non si percepiscono – come la sterilizzazione Iva – ed a tanti mini interventi che scatenano altrettanti piccoli gruppi di interessi producendo un solo effetto sicuro, l’effetto paralisi. Difficile, così, intravedere una strategia dietro un guazzabuglio di proposte avanzate e ritirate ed a forze politiche che sembrano più rappresentanti di piccole corporazioni che portatori di una visione di paese.

Per una nuova crescita fondata sulla qualità.

Nel dibattito di questi anni ci sono state false alternative ed illusioni. Falsa alternativa quella tra crescita o decrescita, illusione quella di una crescita affidata ai pannicelli caldi delle infrastrutture (cosa, questa, che continua a predicare il capitalismo nostrano, impregnato di cultura dei cantieri e degli appalti). Serve, invece, un modello di sviluppo che produca più quantità, più valore aggiunto nei settori dei prodotti destinati al mercato, ma anche più qualità.

Qualità con attività produttive mirate alla valorizzazione dell’ambiente naturale ed urbano, al benessere delle persone in termini di salute fisica e relazioni sociali, all’accrescimento culturale, alla qualità dei servizi alla persona ed alle imprese. Si tratta, cioè, di dare valore anche alle cose che non hanno valore di mercato, di cominciare veramente ad andare oltre il Pil, di misurarsi con gli obiettivi di benessere ormai prodotti dall’Istat, promossi dall’Associazione per lo sviluppo Sostenibile ed assunti dall’Onu. Meglio ancora, si tratta di usare gli obiettivi di qualità per attivare processi produttivi di quantità, creando una nuova relazione-alleanza con le forze imprenditoriali per riorientare la produzione verso i settori dell’economia innovativa, della sostenibilità ambientale e del benessere sociale.

Per un nuovo equilibrio tra tasse e servizi.

Uno dei principali fattori di crisi della politica è costituito dalla rottura dell’equilibrio tra quanto i cittadini danno allo Stato col fisco e quanto ricevono con i servizi. In termini statistici l’Italia si colloca nella media europea, sia per la quota di entrate sul Pil che per le spese. Ma con due specificità: le entrate, a causa della scandalosa evasione, gravano di più solo su una parte della popolazione; le spese, invece, avendo valore universalistico, spesso prescindono sia dal reddito che dalla fedeltà fiscale. Questa stridente contraddizione è fonte di un malessere diffuso, molto avvertito laddove – periferie – si registrano servizi insufficienti. Creare un equilibrio complessivo tra entrate e spese prelevando di più dalle aree di evasione e dando più servizi alle aree disagiate deve essere una priorità assoluta e in questa visione occorrerebbe collocare i singoli provvedimenti. Dentro macro obiettivi settoriali come istruzione gratuita, tempi di attesa ridotti nella sanità, trasporti migliori e meno costosi da perseguire gradualmente, ma con tappe prefissate e visibili.

Si tratta in sostanza di costruire una cornice razionale dentro la quale collocare ogni provvedimento singolo, anche il più minuto, esplicitando costi e ricavi e benefici sociali previsti, recuperando una idea di programmazione pluriennale dell’azione di governo, facendo, così, fare alla politica un salto di qualità, dalla propaganda alla progettualità, dalla prossimo minuto ai prossimi anni.

E questo ci riporta al punto dei partiti, delle alleanze e del governo. Il processo di ristrutturazione delle forze politiche in corso investirà M5s, Pd e Leu. Formazioni in crisi, che o nei prossimi mesi si rigenerano o si mettono fuori dalla storia dei prossimi anni. Esse seguiranno, naturalmente, i loro percorsi interni.

Ma sono fatti loro ed agli altri non resta che assistere? Sì e no, penso. Sia perché ci sono tanti cittadini che in forme diverse hanno contribuito alla loro vita, sia perché ci sono, nella società, tante forme di partecipazione e di impegno che producono politica fuori da essi. Allora si tratta di valutare se non sia possibile pensare che in una fase così delicata della vita politica si possa far vivere una sorta di movimento parallelo, di opinioni, di confronto, di costruzione di iniziative, di coinvolgimento dei rispettivi elettorati, attivisti e rappresentanti.

Una sorta di politica orizzontale a tutti i livelli che senza ingerirsi nella vita interna delle singole formazioni produca buona politica facendo maturare posizioni politiche, iniziative, risvegli di partecipazione, superando muri divisori talora artificiosi. So che è difficile. Ma potrebbe essere un modo per far entrare in campo nuove soggettività, mettere in relazione i protagonisti dei movimenti delle piazze con partiti e movimenti che stanno nelle istituzioni, per contribuire, così, a rinnovare la politica.