A Roma, scrittura e lettura come pratiche di gioia
Librerie indipendenti Nell’isola pedonale del Pigneto nel 2007 nasce «Tuba». Oggi è formata da un gruppo di lavoro ampio e diffuso e organizza «Inquiete», primo festival di scrittrici
Librerie indipendenti Nell’isola pedonale del Pigneto nel 2007 nasce «Tuba». Oggi è formata da un gruppo di lavoro ampio e diffuso e organizza «Inquiete», primo festival di scrittrici
Negli anni sono nate amicizie, passioni letterarie e collaborazioni tra chi ha scelto di frequentare la libreria Tuba, fondata a Roma nel 2007 – prima in un bugigattolo e poi in un locale più ampio, entrambi sull’isola pedonale del Pigneto. Dalla panchina antistante si vedono i banchi del mercato a km zero, frontale una biblioteca, nel circondario la complessità di un quartiere a lungo denigrato quando non derubricato come spazio da hipster urbani. Una comunità che è casa delle differenze, ci tengono a sottolinearlo Barbara Piccolo e Viola Lo Moro, libraie e socie insieme a Sarah Di Nella, Cristina Petrucci e Barbara Leda Kenny. Lavorano con loro altre donne, fanno riunioni bisettimanali con tutte e all’interno del gruppo si sono divise le aree di competenza: libreria, eventi, bandi, bar, amministrazione, giocattoli contaminandosi a vicenda.
Eppure Tuba, per chi la conosce e la visita, è il frutto maturo di una storia d’amore, una di quelle che, come tutti gli innamoramenti, rappresenta ciò che possono creare dei corpi desideranti quando si incontrano nella comune intenzione di sollevare il cielo. Coraggioso imporsi sulla scena di un mercato editoriale come quello contemporaneo proponendo un catalogo di libri a firma di sole donne; non tuttavia un caso isolato viste le esperienze – diverse per storie e generazioni politiche – delle Librerie delle Donne in Italia, a cominciare da quella storica di via Pietro Calvi a Milano – fondata nel 1975, proseguendo con quella di Bologna, passando per la più recente di Padova, finendo con Firenze – chiusa lo scorso giugno e trasformata in biblioteca femminista, destino simile a quella cagliaritana, diventata negli anni un Centro studi. Sono luoghi vitali, attivissimi ormai tessuto imprescindibile dei territori. Presidi femministi e per questo di libertà che riguarda tutte e tutti, osservatori politici tra i più lungimiranti, hanno legami con movimenti, associazioni, festival e con una cosiddetta «utenza» che, come accade in particolare nelle librerie molto connotate, è accorta ed esigente, grata e assetata di conversazioni letterarie, di suggerimenti.
Capita di incontrare scrittrici e scrittori, alcune hanno cominciato lì o hanno eletto Tuba come centro nevralgico di «relazione», prima parola chiave; una trama fitta che comincia dalla preferenza di titoli scelti uno per uno. Di ogni venduto incassano il trenta per cento, combattono contro gli sconti predatori della Rete o delle grandi librerie di catena che sembra escludano ogni possibile concorrenza; si muovono nelle maglie strette di una distribuzione che non lascia margine. Lo dicono senza alcuna contrizione perché impegnarsi in una forma di militanza che intreccia dedizione e generosità, sostiene. E crea lavoro, con intelligenza. C’è ad esempio Elisa Coccia, tra le donne che sono regolarmente stipendiate, che ha un ruolo centrale nella responsabilità del bar, aperto fino alle due del mattino dove si possono consumare cibi biologici. Utilizzandone il ricavato sostengono le spese, compreso il costo del locale che prima ospitava una più redditizia gioielleria.
Se ogni libro è un circolo e un atto di resistenza in sé, scriverlo, editarlo, diffonderlo dinanzi alla usura di un presente che avrebbe bisogno di tutta la forza necessaria, il tema della socialità è ormai parte integrante di molti spazi indipendenti che nel tempo sono diventati bazar, come nell’accezione di Tuba, o caffè letterari. È però la relazione è il vero nutrimento simbolico, quella che hanno imparato dalle pratiche politiche, molto diverse come lo sono le loro formazioni; è relazione sperimentata nella fedeltà di chi entra da Tuba, di chi si affida a una libraia invece che a un’altra. Anche quando, nei primi passaggi della attività, alle presentazioni capitava di essere in quattro compresa l’autrice e ora invece quasi non ci stanno, precisa Barbara che ha una predilezione particolare per la letteratura greca contemporanea.
C’è la possibilità di acquistare o anche solo di fermarsi a leggere testi di scrittrici affermate, edite da grandi case editrici insieme alle ultime novità proposte da minuscole imprese editoriali con cui hanno rapporti diretti, contatti che sono altrettante filiere ostinate in tutta Italia. Questo luogo della quotidianità, costruito da un gruppo di femministe e lesbiche «che credono in una socialità libera, allegra e consapevole» in effetti si apre a una festa dello sguardo. A posare gli occhi in ogni dettaglio ci sono infatti scaffali dove scorrono le varie sezioni della libreria, dalla narrativa alla poesia, all’arte e alla saggistica con i generi letterari e le categorie che sono narrazioni viventi, vicinanze non solo estetiche. Che Chloé Cruchaudet, con la sua graphic novel Poco raccomandabile sia sotto In Italia sono tutti maschi, di Sara Colaone e Luca de Santis non è un caso. Come non lo è la presenza di Zami di Audre Lorde sopra La parola alle amazzoni di Giorgia Succi e Ladra, di Sara Waters.
Come tutte le storie d’amore, che sottendono lotte, affetti e contrattempi del vivere, Tuba ha voluto allargarsi creando il primo festival di scrittrici a Roma, arrivato alla terza edizione (dall’11 al 13 di ottobre), con decine di appuntamenti. Insieme a Viola Lo Moro e Barbara (Piccolo e Leda Kenny), ci sono Francesca Mancini e Maddalena Vianello a organizzare Inquiete e il Pigneto si moltiplica di parole e migliaia di visitatori che arrivano spesso da lontano a significare quanto i saperi e le scritture delle donne siano di orientamento; quanto non ci sia nessun azzardo a volersi collocare in una traiettoria politica esplicitamente femminista. La gioia di scrivere, di leggere, di confrontarsi con altre donne, essere indipendenti significa anche questo.
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Alcune esperienze italiane
Nel 2016 le librerie mono negozio (cioè non catene o franchising quindi indipendenti) sono meno di un migliaio, 811 per la precisione. Sono i dati che ci fornisce l’Aie e che sono tratti dal Rapporto sullo stato dell’editoria 2017. Sono molte e diverse, dalle più suggestive come «Acqua Alta» a Venezia, a quelle più antifasciste come «La pecora elettrica» a Roma, di recente vittima di un attentato. Ma nella capitale ce ne sono altre: «Fahrenheit 451» in Campo de’ Fiori oppure «Todomodo» a Centocelle che talvolta organizza milonghe in mezzo ai libri. A Milano c’è «Antigone», libreria lgbt, specializzata in studi di genere, femminismi, arte e teoria queer; poi «Libreria del mondo offeso», «Gogol & Company» insiema a molte altre. A Torino la «Trebisonda» a San Salvario, o anche «Il ponte sulla Dora» ma ci sono anche «Teherese» e «Belgravia». A Napoli, insieme alla storica «Dante & Descartes», c’è «Tamu» aperta da poco più di due anni e specializzata in Medioriente, e «Io ci sto» riaperta al Vomero. Nel cuore del centro storico genovese ci sono «L’amico ritrovato» e «Bookowski», in via Mascarella a Bologna la «Modo Infoshop» mentre a Catanzaro c’è «L’isola del Tesoro». A Palermo dalla recente enoteca letteraria «Prospero» alla Modusvivendi. All’Aquila, la «Polarville» di Luna e Giuliano, accanto all’Auditorium di Renzo Piano. A Bari «Millelibri», specializzata in poesia e «Prinz Zaum», propone iniziative quotidiane. In Sardegna «Mieleamaro» a Cagliari o «Koiné» a Sassari, molte delle indipendenti sarde sono legate attorno alla rete Liberos.
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