Mentre il ministro degli Interni, Gérald Darmanin, sta contrattando con una destra classica sempre più estremista i contenuti della ventinovesima legge sull’immigrazione in vent’anni, a Parigi sabato 17 giugno dopo tre anni di chiusura riapre il Musée national de l’Histoire de l’immigration, con un percorso e un allestimento tutto nuovo, che sostituisce la vecchia esposizione permanente di 15 anni fa, passando da 800 a 1800 mq di spazi espositivi. Il Palais della Porte Doré, primo edificio parigino in stile Art déco, costruito per l’Esposizione coloniale internazionale del 1931, allora un monumento di propaganda coloniale, oggi offre un racconto della storia di Francia attorno a 11 grandi date, dal 1685 a oggi. «Abbiamo bisogno di un museo della storia dell’immigrazione perché è la nostra storia, la nostra identità, che si capisce solo attraverso la storia di coloro che sono venuti, dei tormenti che hanno accompagnato questi arrivi, dei successi e delle difficoltà», spiega la direttrice della Porte Dorée, Constance Rivière. Oggi, quasi un terzo dei francesi ha origini immigrate, praticamente tutta la popolazione ha una storia intrecciata con l’apporto degli stranieri.

Paul Almasy arrivée dans le port de Marseille

LA NARRAZIONE inizia nel 1685, quando la Francia dell’ancien régime è contemporaneamente terra di accoglienza, terra d’esilio e con il Code Noir regola la tratta degli schiavi: Luigi XIV chiama a corte personalità, come l’astronomo Cassini, ma con la revoca dell’Editto di Nantes circa 100mila ugonotti fuggono dal paese. Nel 1789, alla Rivoluzione, ci sono stranieri in tutti e tre gli ordini della società francese, mentre 150mila «emigrati», partigiani della monarchia, lasciano il paese. Alla svolta del XVIII e XIX secolo, i movimenti di popolazione si accentuano tra le colonie e la madrepatria, in seguito alla prima rivolta degli schiavi a Santo Domingo (Haiti) nel 1791 e alla prima abolizione della schiavitù (1794). Con Napoleone e la Restaurazione il fenomeno si accentua. La monarchia di luglio (1830-1848) segna una svolta: la rivoluzione liberale attira gli esiliati politici, e nel 1832 c’è la prima legge che crea la categoria amministrativa dei «rifugiati». In quegli anni, i francesi emigrano, i coloni vanno in Algeria, dove la conquista è iniziata nel 1830. Con la Terza Repubblica avviene il passaggio da «stranieri» a «immigrati»: una legge del 1889 rende obbligatorio il «doppio jus soli», chi nasce in Francia da almeno un genitore nato nel paese è francese per diritto (per impedire che i figli di stranieri sfuggano al servizio militare, mentre in Algeria il governo vuole evitare che gli «stranieri» venuti da altri paesi europei soppiantino i «francesi»).

Parigi, famiglia napoletana

La Francia importa «braccia», soprattutto dal Belgio e dall’Italia, ma la crisi economica di fine secolo fomenta un’ondata di xenofobia, gli immigrati sono accusati di portare via il lavoro ai francesi, di abbassare i salari. La prima guerra mondiale cambia radicalmente la condizione degli stranieri: sono imposti visti e passaporti, nel 1917 viene creata la carta d’identità per stranieri, gli immigrati da paesi nemici sono internati. Ma la Francia ha bisogno di lavoratori per la ricostruzione, molti rifugiati accorrono a causa degli sconvolgimenti politici in Europa. Nel 1931, ci sono 2,7 milioni di stranieri in Francia, il 7% della popolazione, italiani e polacchi in testa. La crisi riporta la xenofobia, il Fronte Popolare è solo una breve parentesi, nel 1938 inizia un periodo di repressione senza precedenti, che si abbatte sugli spagnoli rifugiati dopo la guerra civile vinta da Franco. Nel 1940 anche i naturalizzati perdono diritti, precondizione per le deportazioni degli ebrei.

DAL DOPOGUERRA è la storia di oggi: tra il 1947 e il 1975, il numero degli stranieri raddoppia (passa a 3,4 milioni) e nel 1962 un milione di francesi rimpatria dall’Algeria ormai indipendente. Con la guerra fredda c’è l’accoglienza di rifugiati dai paesi comunisti, con le indipendenze africane aumentano gli arrivi, poi sarà la volta dei latino-americani e dei boat people vietnamiti. Nel 1973, con lo choc petrolifero la Francia «sospende» ufficialmente l’immigrazione per lavoro. È l’inizio degli «aiuti al rientro» nei paesi d’origine. Con Mitterrand la situazione migliora, ci sono le regolarizzazioni dei sans papiers e, nel 1983, la Marcia per l’eguaglianza e contro il razzismo: i figli degli immigrati chiedono diritti. Ma una volta di più la crisi economica spinge la xenofobia, la politica si appropria della distinzione tra immigrati «integrabili» e quelli da «espellere», il Fronte nazionale si insedia nel panorama del paese. Oggi, è il tempo dell’Europa, con la libera circolazione nello spazio Schengen del 1995 e al tempo stesso le restrizioni all’entrata, il rafforzamento delle frontiere esterne.

QUESTA LUNGA STORIA è raccontata alla Porte Dorée attraverso più di 600 oggetti, documenti, video, film, tv, una sala è dedicata alla musica (dal jazz, al raï, all’afrobeat o la canzone francese), con un percorso attento alla didattica (anche a altezza di bambino), con i grandi avvenimenti intrecciati a casi personali. L’arte contemporanea accompagna la visita, da Kader Attia a Barthélémy Toguo. Il nuovo museo è stato concepito da Marianne Amar, Emmanuel Blanchard, Delphine Diaz e Camille Schmoll, sulla base di un lungo lavoro di storici, geografi, sociologi e conservatori, sotto la guida di Patrick Boucheron.