Politica

A Palazzo Chigi senza poter rompere. Il nuovo corso inizia col basso profilo

A Palazzo Chigi senza poter rompere. Il nuovo corso inizia col basso profilo

Giustizia Il leader in missione per conto del M5S

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 20 luglio 2021

Questa sera Giuseppe Conte incontrerà a Montecitorio in assemblea i parlamentari del Movimento 5 Stelle. Dovrà spiegare per quale motivo sulla giustizia non può alzare barricate. Nella sua prima prova da leader, seppure ancora in attesa di votazione degli iscritti, è tornato a Palazzo Chigi per incontrare il suo successore alla presidenza del consiglio, Mario Draghi. Non aveva il mandato di porre ultimatum ma quello di trattare e cercare una soluzione.

L’unico punto fermo sulla giustizia è trovare il punto di caduta che consenta di poter dire di aver salvato il nucleo delle riforme approvate dai suoi governi. Il che non è facile, anche perché Draghi si mette all’ascolto del portavoce della prima forza della sua maggioranza ma tiene il punto: questa riforma è una di quelle misure necessarie nel quadro del Pnrr, dunque deve marciare spedita.
Conte, allora, esce dal colloquio e davanti ai giornalisti disegna i grandi scenari del piano sanitario, della rigenerazione del paese, della transizione ecologica e della data fatidica del 2050 che ormai compare anche nel nuovo simbolo del Movimento 5 Stelle. Conferma la sua fiducia al ministro Cingolani, generando malumori tra i deputati del M5S in commissione ambiente. Sono discorsi che ricordano quelli di Grillo, che non ci pensa proprio a far cadere il governo sulla giustizia, più che quelli degli eletti che erano insorti non appena avevano conosciuto gli emendamenti Cartabia sulla prescrizione e sulle pene alternative. Ma è proprio questo il punto: il fondatore che ha deciso di scartare rispetto alle posizioni della fase precedente, quella antiCasta si trova in sintonia con l’ormai ultragovernista Luigi Di Maio, che solo due giorni fa ha rinnovato il suo invito alla «responsabilità» e alla concordia e collaborazione con le altre forze politiche e che giusto ieri di nuovo parlato della necessità di «legare il nostro bagaglio identitario all’assetto proprio di una forza politica organizzata, al passo coi tempi e dotata di strumenti utili ad evitare alcune esagerazioni del passato».

Ne prende atto anche il leader, che rinnova il suo impegno movimentista a essere presente nelle piazze, perché «la politica si fa anche fuori dai palazzi», ma che in questa fase deve ancora trovare una sua collocazione, la cifra del suo percorso. Il rischio, alle condizioni date, è che appaia come notaio, se non come il testimonial, di decisioni prese proprio dai palazzi e delle quali si trova costretto a prendere atto.

Conte spiega la sua posizione muovendo dalle cose meno divisive, dalla necessità di «velocizzare i processi». Solo in seconda battuta precisa: «A Draghi ho ribadito che saremo molto vigili nello scongiurare che non si creino soglie di impunità». Da qui, evoca «eventuali interventi che possano migliorare il testo».

Lo si attendeva per avere un leader che potesse condurre le trattative e massimizzare il potere contrattuale del M5S nel governo. Ma in questa fase di ritrovata unità interna attorno al progetto di statuto la priorità alle dinamiche interne va a discapito delle faccende politiche.

Per questo, gli unici a protestare siano gli attivisti autoconvocati, guidati da un drappello di eletti già ai margini del M5S che nei giorni scorsi avevano protestato contro il metodo scelto per ristrutturazione organizzativa. Danno appuntamento per domattina davanti a Montecitorio. «La riforma Cartabia rappresenta ciò che abbiamo sempre combattuto», dice ad esempio la consigliera regionale del Lazio Francesca De Vito, sorella di quel Marcello presidente del consiglio comunale di Roma passato armi e bagagli a Forza Italia. E non è un caso che critichi anche i passaggi sul nuovo statuto: «Conte non dovrebbe neppure nominare Gianroberto Casaleggio e il suo progetto, perché proprio non lo ha compreso. Il suo verticismo vuole solo distruggere un sogno con l’unico scopo di creare l’ennesimo partito».

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