Teatri occupati, fattorie senza padroni, demani pubblici strappati alla privatizzazione tornano nelle mani della collettività, e sono trasformati in laboratori di autogestione e mutualismo per rispondere alla crisi economica e al vuoto lasciato da politiche sociali inesistenti. Spazi, dunque, che proprio perché appartengono a tutti svolgono una funzione sociale: quella che Stefano Rodotà definiva come «il potere di una molteplicità di soggetti liberi di decidere sulle categorie di beni che si trovano al centro di una costellazione di interessi». Piccoli o grandi frammenti di città amministrate da gruppi di cittadini che attraverso modelli di democrazia partecipativa escono dalla sfera gestionale di pubblico o privato.

L’autogoverno dei beni comuni genera conflitto con le amministrazioni locali che più volte, in nome di legali profitti privati, non riconoscono legittimo l’impegno di liberi cittadini interessati a recuperare edifici o parchi in disuso.

A NAPOLI, però, l’occupazione dell’ex Asilo Filangieri lancia una sfida al diritto di proprietà riconosciuto dall’ordinamento giuridico italiano. È il 2012 e alcuni lavoratori delle arti e dello spettacolo entrano nei locali dell’ex convento, fino a quel momento utilizzato dalla fondazione Forum delle Culture. Accanto a un lavoro di riqualificazione dell’intera struttura, il collettivo ripesca dal passato il vecchio istituto degli usi civici. Si elabora la prima dichiarazione di uso civico e collettivo di un bene comune da parte della collettività e con questo documento, messo a valore nelle delibere 893/2015 e 446/2016 della giunta De Magistris, il Filangieri e altri sette stabili occupati nell’area della città partenopea vengono riconosciuti bene comune. L’esperienza napoletana dimostra come sia possibile gestire dal basso uno spazio urbano ed è ripresa anche in Piemonte.

A TORINO, nel 2014, un gruppo di cittadini occupa una delle residenze sabaude già patrimonio Unesco dal 1997. È la Cavallerizza Irreale, che il comune intende vendere per rimediare a un bilancio in rosso. L’assemblea di gestione, chiamata Cavallerizza 14:45, rianima giardini e spazi dell’edificio altrimenti chiuso e lo rende un polo culturale indipendente. Intanto, una serie di incontri nazionali sugli usi civici e l’elezione della giunta Appendino portano Cavallerizza Irreale a scrivere una dichiarazione di uso civico dei locali sulla falsariga del Filangieri.

Un’altra interessante esperienza di gestione condivisa è Casa Bettola di Reggio Emilia; una casa cantoniera che dal 2009, tra osteria popolare e sportelli sul diritto all’abitare e sul lavoro, è un bene comune in cui si intrecciano lotte sociali e ambientali. A Napoli e Torino si aggiunge Poveglia, l’associazione nata a Venezia per tutelare l’omonimo isolotto dalla vendita all’asta bandita dall’Agenzia del Demanio. I soci raccolgono 450 mila euro: una cifra che, se non è sufficiente a vincere il bando di vendita, serve a riqualificare un’area dell’isolotto. I cittadini chiedono al Demanio di avere in concessione Poveglia per almeno sei anni, ma non ricevendo alcuna risposta si appellano al Tar del Veneto. E lo scorso marzo il tribunale da ragione ai cittadini: Poveglia non si tocca!

GLI ESPERIMENTI DI AUTOGESTIONE fin qui elencati sono soltanto alcuni fra quelli più conosciuti di un arcipelago dei commons che in Italia è in continua crescita. Luoghi dove l’accezione di bene comune non si ferma alla materialità dello spazio fisico in questione, ma riguarda la possibilità di costruire percorsi capaci di rispondere agli interessi e ai bisogni dei territori. Così come accade a Mondeggi Bene Comune, la Fattoria senza Padroni che da quattro anni custodisce la tenuta dell’antica villa di Mondeggi, che la città metropolitana di Firenze vuole vendere per ripristinare un debito pubblico pari a un milione e mezzo di euro. Dal 2014, un presidio contadino porta avanti i lavori agricoli su 180 ettari di terreno e insieme alla popolazione locale, da sempre coinvolta nelle diverse attività, si riconosce in una comunità diffusa. Nonostante il comitato di Mondeggi abbia presentato una dichiarazione di gestione civica alla giunta fiorentina, le istituzioni continuano a non dialogare con i presidianti, che ritengono essere «fuorilegge».

Proprio sul tema dei beni comuni e della loro gestione condivisa sabato 30 giugno, a partire dalle 10,30, presso Mondeggi Bene Comune si terrà il tavolo di lavoro «Verso una rete nazionale dei Beni Comuni». «Sarà un momento di confronto sulle problematiche interne ed esterne, come le minacce di sgombero, che tutti questi spazi vivono perché gestiti da soggetti informali. Magari mettendo su un pull giuridico e dei fondi da usare per le emergenze legali», spiega Roberto del Comitato di Mondeggi Bene Comune. E conclude: «Pensiamo che questa sia la strada giusta affinché si possa avere maggiore forza nell’interlocuzione con enti e gestori proprietari sordi alle necessità illustrate da chi vive quei territori molte volte sfruttati per interesse privato. Perché non saremo più solo la Fattoria di Mondeggi, ma faremo parte di una comunità molto più ampia che dovranno ascoltare».