Cultura

A Milano un prezioso e conviviale connubio tra la Galleria Campari e Magnum Photos

A Milano un prezioso e conviviale connubio tra la Galleria Campari e Magnum PhotosCapri, 1984 © Ferdinando Scianna / Magnum Photos

ESPOSIZIONI Visitabile fino al 30 aprile, «Bar Stories on Camera» raccoglie oltre novanta scatti

Pubblicato circa un anno faEdizione del 5 ottobre 2023

Non tutti ricordano che l’agenzia Magnum, fondata nel 1947 da Robert Capa, con Rita e William Vandivert, Maria Eisner, seguiti da Henry Cartier-Bresson, David Seymour e George Rodger, nacque praticamente al tavolo di un locale, con immancabile accompagnamento di vino francese. Da qui il nome Magnum che sta per il nostro più prosaico bottiglione, ma che affonda le radici nel latino per evocare grandezza. Un’agenzia che nel corso degli anni è diventata la «cooperativa» più prestigiosa della storia della fotografia. Del resto i tavolini dei bar e dei ristoranti da tempo immemorabile sono stati testimoni di aggregazioni artistiche che proprio lì, complice magari qualche bicchiere, trovavano motivo di sviluppo e crescita. Il café Le Procope a Parigi, il cabaret Voltaire a Zurigo, o ancora il quadro di Fantin-Latour con Verlain e Rimbaud, esempio di rappresentazioni conviviali con artisti di grande statura. Si spiega anche così il connubio tra la Galleria Campari e Magnum Photos per la mostra appena inaugurata (terminerà il 30 aprile) dal titolo «Bar Stories on Camera». Si tratta di una novantina di immagini fotografiche quasi equamente ripartite tra quelle dell’archivio della galleria e quelle dell’agenzia (tra cui si evidenziano scatti di Capa, Erwitt, Parr, Donaldson e Scianna).

LA MOSTRA È SUDDIVISA in tre capitoli: Sharing moments è il primo. E consiste nel mostrare immagini di bar: persone che bevono, caffè, bibite, aperitivi, altre che leggono i giornali, qualcuno appollaiato sui trespoli davanti al bancone, orchestrine, facce smarrite e facce contente, si evoca di tutto in questi momenti trascorsi ai tavolini. E le foto sono state pescate in entrambi gli archivi. Più mirata al marchio la seconda sezione: bar Campari, dove si spazia in ogni continente accompagnati dalle scritte più o meno luminose della compagnia. E così si scopre che quel nome compare davvero ovunque. La terza sezione si chiama The Icons e attinge all’incredibile archivio Magnum selezionando immagini «quotidiane», ma anche «straordinarie» di personaggi famosi colti mentre si rilassano al bar sorseggiando qualcosa e trovando un po’ di tranquillità nella frenesia della fama. E qui trovano anche collocazione un paio di immagini iconiche come il Camparino di galleria Vittorio Emanuele a Milano e il bar Waldorf Astoria dell’omonimo albergo di New York.

C’È POI UNA AGGIUNTA che consiste nel Campari Memories, dove compaiono altri materiali preziosi o comunque evocativi, come le indicazioni su come deve comportarsi il cameriere da bar nei confronti dei clienti, personaggio ampiamente rappresentato al cinema. Ma sarebbe riduttivo limitarsi a una mostra che pure offre infiniti spunti, senza collocarla nello spazio che la ospita. Perché la sede originaria della Campari, agli albori del secolo scorso, si trovava a Sesto San Giovanni, in un edificio liberty che fungeva anche da fabbrica. Una quindicina di anni fa è stato affidato a Mario Botta il progetto di ampliare e avvolgere la struttura originaria. Il risultato è piuttosto suggestivo, con amplissimi spazi che vengono ora utilizzati per esporre gli imperdibili materiali dell’archivio Campari (design, pubblicità, arte, fotografia, storia) per un’esperienza davvero coinvolgente.
Quaranta anni fa Milano era da bere, secondo la pubblicità d’epoca della Ramazzotti, poi diventata altro da sé. Ora forse Milano (o Sesto) è da vedere per quel che riesce a proporre di se stessa come città invivibile per chi deve fare i conti a fine mese e per tutti quelli che a fine mese proprio non arrivano, ma non per questo meno portatrici di proposte che, quelle sì, fanno i conti con la sua storia. Una storia ricca.

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