Oggi con il termine archivio è quasi scontato considerare insieme ad uno spazio organizzato di contenuti ordinati e sistematizzati anche un vero e proprio luogo di relazione. L’archivio è infatti considerato ormai quale paradigma del contemporaneo. L’insieme di documenti, atti, lettere e opere è infatti il disegno oggi più preciso e potabile per dare forma a quello che è il lavoro culturale nella contemporaneità: l’archivio o è in divenire o non è, l’archivio o è attraversabile – o se vogliamo navigabile – o non è.

ALLA FINE degli anni Ottanta un collettivo autogestito di giovani artisti a Milano si misurava già su questi temi e lo faceva stando alla larga dai consueti canali espositivi e gestionali dell’arte contemporanea.
Quell’esperienza è oggi una formidabile traccia sia delle possibilità presenti spesso difficili da decifrare, sia dello sguardo visionario del gruppo de Lo Spazio di Via Lazzaro Palazzi. Tra di loro Giuseppina Mele, Chiyoko Miura, Liliana Moro, Andrea Rabbiosi, Bernhard Rüdiger, Antonello Ruggieri, Adriano Trovato, Massimo Uberti e Francesco Voltolina. Allievi di Luciano Fabbro seppero interpretare in maniera formidabile la fine del secolo e lo stravolgimento delle ideologie, a partire dalla produzione della rivista d’arte tiracorrendo, diretta da Adriano Trovato e vero e proprio ganglio di un percorso artistico e politico raro e prezioso.

Grazie alla donazione dell’archivio da parte degli artisti al Museo del Novecento di Milano è oggi possibile osservare nelle fotografie come nei documenti scritti la traiettoria del loro lavoro. Con la cura di Iolanda Ratti e Cristina Baldacci l’archivio si presenta come un vero e proprio soggetto pulsante che va ben oltre l’organizzazione degli elementi e diviene un vero e proprio luogo di confronto e di dibattito. Punto di connessione tra la fine della città industriale e la città dei servizi e del terziario avanzato, il gruppo de Lo Spazio di Via Lazzaro Palazzi parla alla nostra contemporaneità svelandone contraddizioni ed evidenti conflitti.

IL VOLUME pubblicato da Electa sempre per la cura di Baldacci e Ratti (pp. 352, euro 28) diviene così un vero e proprio baedeker per girovagare in quel tempo di ricerca e di elaborazione che contrastando i vuoti e le assenze del fine secolo ha saputo restituire senso e valore al lavoro collettivo e relazionale. Un movimento che fuoriesce dall’ideologia della fine delle ideologie per dare spazio concreto ad un’idea comune e progressista di società e di cultura, non dunque una lezione, ma una possibilità tutta da cogliere. Tanto più in questo contemporaneità angosciante e complessa.